"Milano è come un'amante dalla quale tornare, un luogo sicuro, casa". Queste sono le magnifiche parole di Viviana Faschi che descrivono una "città che sale", nella quale perdersi, ricca di scorci insospettabili, di una bellezza sottomessa che scivola agli occhi di molti.
Opera prima della giovane poetessa varesina, frutto di 4 anni di lavoro, Lo spleen di Milano non è solo una dedica alla metropoli meneghina, ma la testimonianza di una tradizione letteraria che, a partire da Baudelaire, raffigura il poeta nella sospensione fra moltitudine e solitudine.
"Il riferimento diretto è, ovviamente, a Lo Spleen di Parigi, – ha spiegato l'autrice agli studenti del liceo Cairoli – e questa scelta nasce dalla mia esperienza fatta a Milano, che mi ha particolarmente colpita e che sono riuscita ad esprimere in questa forma intermedia tra prosa e poesia".
Milano dunque, come specchio della realtà e della vita nel suo complesso, narrata in una trentina di "quadri", poco più di una pagina per ciascuno. Sotto la lente, a volte deformata dall'ironia, tanto la Storia quanto la contemporaneità.
"Non ho mai avuto paura di perderMi -scrive- Ho sempre avuto paura di trovare, di trovare qualcuno che non eri tu, al tuo posto". Scommette alla fine sul lettore, Viviana Faschi, sul lettore ricettivo e attento, che anteponga, ai piaceri sensibili, quelli dell'intelletto.