Come ogni volta, appena la carovana delle Jeep si ferma per una sosta, una nuvola di bambini compare all’improvviso. Eppure, in pieno deserto della Dancalia, nel Nord dell’Etiopia, non c’è nemmeno un sasso, un cespuglio, un muretto, dietro al quale si sarebbero potuti nascondere.
NIENTE DI NIENTE.
E invece spuntano così, dal nulla, ti circondano, ti squadrano, ti osservano muti. I più temerari si avvicinano con cautela e solo dopo un po’, acquistata la dovuta fiducia, ti prendono la mano. Alcuni chiedono persino una penna in regalo, oggetto preziosissimo a queste latitudini.
Mi siedo sotto un’acacia striminzita, l’unico albero effettivamente presente. Ho una guida fotocopiata, con un piccolo vocabolario di lingua amarica. Lo apro, cerco qualche parola semplice da pronunciare, giusto per rompere il ghiaccio. Vedo che i bambini conoscono la traduzione in inglese e la ripetono in coro. Poi mi viene un’idea: sapranno sicuramente anche scrivere nel nostro alfabeto. Apro una pagina bianca in fondo alla guida, frugo dentro allo zaino ed estraggo una biro, la prima che mi viene in mano.
E’ di colore rosso.
I bimbi d’un tratto fanno silenzio, si guardano con occhiate d’intesa. Poi all’improvviso cominciano a farsi avanti, l’uno contro l’altro, per conquistarsi un posto vicino a me e al mio quaderno per scrivere il proprio nome. Alcuni scarabocchiano anche un numero,: 6, 9, 8…. Forse è la loro età. Alla fine di questa divertente gara, uno di loro, un po’ più grande degli altri, estrae dalla tasca un foglio stropicciato. E’ scritto in nero. Ci sono diverse parole in inglese, un tentativo di formare alcune frasi. Le correzioni sono riportate in rosso. C’è anche un giudizio in fondo alla pagina: “Good work”.
Ecco il perché della loro reazione quando ho estratto la mia biro: se avevo la penna rossa, ero certamente un maestro.

Ivo Stelluti, il Viaggiator Curioso
Etiopia