lo chiamano Padre John ma probabilmente il nome non è neppure quello vero. Non c’è bisogno di cercarlo, ti trova lui, ti attende paziente nella hall lucidata dalla polvere di qualche albergo per turisti della Grande Città. Ti accoglie a braccia aperte, con la gentilezza e quell’animo mite tipico di questo popolo.
«Sono nato in Birmania ma ho studiato a Roma, per questo parlo abbastanza bene l’italiano. La mia Missione è parecchi chilometri da qui, nelle campagne a nord di Mandalay.
Accogliamo chiunque si presenti alla nostra porta, non importa da dove viene o a quale fede appartiene. Facciamo tutto quello che possiamo per curare i malti. Il Regime non ci consente di ricevere aiuti dagli altri paesi: qualsiasi pacco proveniente dall’estero viene intercettato e sequestrato dai militari. L’unico modo che abbiamo per procurarci medicinali e altre necessità è chiedere ai viaggiatori che giungono fin qui di nasconderli nelle valige. Vedete, i soli beni che arrivano fin qui sono quelli che vengono fuori dai vostri zaini: per questo ora provo grande gioia. Se conoscete qualcuno che vuole venire in Birmania, ditegli di contattarmi. Vi ringrazio molto… grazie… grazie… Purtroppo, come potete capire, è difficile dare conforto alla gente senza le materie prime. Anche la Croce Rossa Internazionale si è ritirata dal nostro Paese. La Signora ha fatto molto per noi ma il potere dell’esercito è ancora troppo forte. Forse qualcosa però sta incominciando a cambiare: fino a qualche anno fa non si poteva possedere valuta estera, ora è permesso, qualcuno riesce a mandarmi dei soldi, che ricevo attraverso un falso recapito.
Pensate che in Birmania ancora le persone non sono libere di muoversi: bisogna comunicare il motivo di tutti gli spostamenti all’interno del territorio nazionale. Io sono qui perché mia madre abita in questa città, altrimenti sarebbe impossibile per me venire dove ci sono i turisti.»
Sull’e-mail inviata prima della partenza ci aveva scritto: «se potete, portatemi un piccolo panettone: sono anni che non ne assaggio uno.» Quando estraggo il dolce dal mio zaino mi abbraccia. Non gli sembra vero.
Ricorda tutto dell’Italia ma mentre continua il suo racconto, osservo che si guarda spesso le spalle e controlla in continuazione una specie di radiotelefono che nasconde nella borsa.
Ora parla quasi sottovoce: «Si, quello che sto facendo è contrario al regime. Ma vi prego: raccontate come stanno le cose da noi, affinché il mondo conosca la nostra storia. So che hanno fatto anche un film sulla situazione in Birmania ma non ho potuto vederlo perché qui è vietato. Non dimenticateci!»
Vorremmo trattenerci ancora ma lui ad un certo punto sembra avere una gran fretta di andare. Tiriamo fuori dagli zaini tutto quello che abbiamo portato: matite, quaderni, caramelle, ma soprattutto medicine, garze, cerotti e piccoli giocattoli per i bambini.
Lui raccoglie ogni cosa con cura in un sacco e ci saluta con un sorriso difficile da scordare.
La mia compagna di viaggi ed io lo osserviamo ancora allontanarsi veloce per le strade buie della Città. Poi ci voltiamo l’uno verso l’altra e ci guardiamo negli occhi: alcune lacrime stanno rigando le guance di entrambi.
Il 29 giugno 2007, con una rara decisione, la Croce Rossa ritirò i propri volontari da tutto lo stato del Myanmar, condannando le violazioni delle norme umanitarie internazionali, l’utilizzo del lavoro forzato e dei detenuti come minatori umani, gli arresti arbitrari, le uccisioni, le deportazioni, la distruzione di scorte alimentari.
“La Signora” è Aung San Suu Kyi, leader del Partito che si oppone alla dittatura militare e Premio Nobel per la pace nel 1991, senza mai nominarla direttamente. Il Film citato è The Lady – L’amore per la libertà del 2011, diretto da Luc Besson.
Il Viaggiator Curioso,
Mandalay, Birmania, 28 dicembre 2014.