I campi di concentramento vissuti dai prigionieri tedeschi che lottavano per il libero pensiero è un tema poco diffuso.
Ne scrive molto bene l’autrice Anna Seghers nel libro “La settima Croce” nel quale narra la fuga di un piccolo gruppo di prigionieri dal campo di Westhofen dove sette tronchi di platani con delle assi inchiodate all’altezza delle spalle di un uomo diventano un monito senza compromesso.

La morte o la libertà rendono pace agli uomini, così in sette fuggono dall’agonia delle torture, quelle più spietate su corpo e spirito perché l’intento non è ucciderti, ma la sofferenza.
Una caccia spietata, senza tregua dov’è impossibile trovare rifugio nemmeno tra i familiari perché anch’essi possono tradire per denaro.

È un periodo difficile per le classi contadine e operaie.
Il giovane Heisler fa parte dei sette uomini destinati alla crocifissione. L’opportunità per i giovani Wallau, Füllgrabe, Beutler, Belloni (quest’ultimo mago dei travestimenti, l’autrice riesce ad alleggerire alcuni frangenti raccontando la bravura di Belloni nei travestirsi) Aldinger e Pelzer, di fuggire è l’ultima e sola occasione per continuare a vivere.

Godere della propria gioventù, e vivere cose semplici come sfiorare l’erba bagnata in riva al lago, gustarsi una birra, anche queste piccole gesta diventano qualcosa di irrinunciabile quando si è dinanzi alla morte.

Purtroppo uno a uno vengono catturati e sei pali nel campo di concentramento trasudano sangue dopo il sudore per la paura.
Solo la settima croce resterà vuota, ma chi riuscirà a sopravvivere la porterà tatuata per sempre dentro l’anima e sulla pelle.

Da leggere in un fiato perché corre e innesca, per quanto le vicissitudini si svolgono nelle campagne sulle rive di fiumi e laghi, un forte senso claustrofobico.

Anna Seghers – “La settima croce” – Neri Pozza, pp.336, Euro 12,90.
Traduzione Alessandra Petrelli

Castrenze Calandra