Londra mi ha chiamato per la terza volta. Forse vuole dirmi ancora qualcosa. Oppure sono io che ho bisogno nuovamente di una voce da ascoltare.
Il negozio si chiama “Arko-Shop“ e si trova al 215 di Portobello Road, Notting Hill. Campane tibetane, incensi intensi, rotoli di preghiere: onde morbide, percezioni che ben conosco. Mi piace aggirarmi lento tra oggetti a me familiari, assorbirne l’affettuosa energia, le buone vibrazioni che in questo periodo tanto mi mancavano.
Ad un tratto però sento un’asse del pavimento di legno scricchiolare paurosamente sotto il mio piede sinistro. Abbasso gli occhi di scatto: mi si rivela uno spiraglio che, anziché essere buio, lascia trasparire un’invitante luce color azzurro-chiaro. “Segui sempre il tuo coniglio” mi suggerisce una vocina assai nota.
Senza farmi scorgere dal negoziante, con la punta della scarpa, faccio leva sull’asse accanto che vien via anch’essa in un sol colpo. Mi abbasso dietro uno scaffale, come un felino si nasconde a ridosso di un tronco di Baobab. Osservo senza essere visto. Il ragazzo rasta che sta alla cassa è troppo concentrato a messaggiare con il cellulare, forse non si è neanche accorto della mia presenza nella bottega. E’ il momento: sollevo senza far rumore un altro paio di tavole dal pavimento e sorreggendomi solo sulle braccia, in un’unica mossa, son dentro al buco. Mi accorgo subito di poter appoggiare i piedi: il cunicolo sarà profondo non più di un metro e mezzo. La luce azzurra non mi consente di intravvedere nulla ma sento ad istinto che devo procedere verso la zona più chiara.
Avrò percorso più di una decina di metri quando il pertugio improvvisamente si allarga in una vera e propria stanza.
Ora riesco a stare dritto in piedi e intuisco la presenza di alcune porte. Tre, ovviamente. E’ chiaro che devo compiere una scelta, attività per la quale in verità non sono molto portato. Mi avvicino alla aperture.
Vada per la prima. E’ tutta colorata: di certo dipinta da un hippy, che ha persino voluto completare l’opera con la scritta sibillina “Time is like the river [Il tempo è come un fiume]“.

La apro con forza, quasi sfondandola. E’ notte dietro la porta. Non si vede niente. C’è però un gran vociare. Esco dalla soglia, inciampo e mi trovo subito disteso a terra. Si tratta di un marciapiede molto duro, come tutti i marciapiedi. Mi rialzo, pulisco le mani graffiate sui pantaloni e mi guardo intorno.
Ora metto a fuoco delle luci. Vetrine di negozi. Ovvio che la riconosco: questa piazza, la sua cupola di vetro, i portici, il timpano racchiuso nel frontone. E’ Covent Garden.

Ma.. strano.. niente musica, pochi sparuti artisti di strada, sembra tutto ripulito, ordinato. Affollato ma VUOTO. Passo in rassegna gli shops e trovo solo gelati, italiani, calendari, teiere, souvenir. Cosa sarà successo? Dove sono i laboratori d’arte, i teatri improvvisati, i locali che sprigionano musica rock? Dov’è il luogo di aggregazione, il centro della creatività che ben ricordo? Mi faccio largo tra i turisti intenti nei loro selfie e mi infilo proprio nel negozio del Tea.
La commessa m’accalappia rapida proponendomi di assaggiare “Alice in Chains” una bevanda non meglio identificata, servita da una teiera a forma di gatto. “Questo è speciale”, mi assicura “da certi effetti…” ammicca strizzandomi l’occhio.

Ne trangugio due ampie sorsate e chiedo all’istante dov’è il bagno. Mi precipito nel retro del negozio e mi scontro però con una porta che riporta la frase: “when a door is closed life opens another door [Quando una porta è chiusa, la vita apre un’altra porta]”. Spingo con forza la maniglia antipanico e mi ritrovo nella stanza azzurra dell’inizio. Lo sapevo: se osi andare avanti con coraggio, ti verrà sempre offerta una strada per tornare indietro.
Rimangono altre due entrate. Mi fermo davanti alla seconda. C’è un’iscrizione quasi coperta da una strana polvere glitterata. Dice: “gustare senza la S” e di seguito una serie di lettere in rilievo. Premo la sequenza
T – A – [S] – T – E.
Corretto. La maniglia si apre. Questa volta spingo con prudenza ma so già dove andrò a capitombolare.

L’ambiente e gigantesco, opaco, ferroso.
Non ricordavo che la Turbine Hall del Tate Modern Gallery fosse tanto vasta. Mi guardo intorno, pronto a stupirmi per l’ultima installazione artistica presentata. Ma tutto Risuona vuoto. Sparuti visitatori. Nessuna mostra in corso. Provo un po’ di dispiacere ma mi sembra comunque una buona occasione per perlustrare le sale espositive e mi attardo un po’ per i vari piani. Noto che hanno arricchito molto gli allestimenti. Grandi nomi, alto livello, meglio di come ricordavo. Dalì, Monet, Cézanne, Chagall, Degas, Picasso, Rothko, Warhol, ma anche Merz, Long, Abramovic. Mi soffermo persino per una foto ricordo con un elegante Pollock monocolore sullo sfondo. Ma dov’è il qui e ora? – Mi chiedo. – Non c’è niente che sia realmente innovativo, contemporaneo? Non è più successo nulla negli ultimi quindici anni che valga la pena di essere mostrato?
Di certo qualcosa è accaduto, ma non si trova tra queste mura.
Cerco un nuovo inizio: vado ancora in bagno.
Mi trovo di fronte ad un avveniristico “asciugatore per mani a lama d’aria compressa con sensori ad infrarossi NO TOUCH”. Almeno così spiega il cartello. Chissà Marcel Duchamp come avrebbe commentato questa meraviglia contemporanea.
Mentre penso al possibile ready-made di stampo surrealista dell’apparecchio, scorgo un adesivo in stile street art che recita: “Vai dove gli altri non osano spingersi”. Questa la so: inserisco le mani nell’asciugatore ma anziché fermarmi nella corrente d’aria calda, come verrebbe spontaneo, spingo fino in fondo. Il dispositivo emette un suono tipo “hai vinto alla Slot Machine” e il grande specchio alla parete si sblocca, rivelando un passaggio segreto.

– FINE PRIMA PARTE –

Ivo Stelluti, Il Viaggiator Curioso.
Notting Hill, Londra, 8 giugno 2019