Non son certo di facile lettura queste piccole e grandi tele che completano con la loro cruda matericità lo splendido Spazio Lavit, ex capannone industriale alle porte di Varese, oggi puntualmente e intelligentemente adibito a Galleria d'Arte, luogo di incontri, di discussione, di eventi e di scambio culturale.
Esse coniugano diversissime fonti di ispirazione in un'unica e nostalgica sinfonia, dalle forme che paiono quasi per frantumarsi ai nostri piedi, dalle simbologie senza tempo che si annidano dietro all' istintualità solo apparente della cosiddetta "tecnica mista": in verità le opere di Dusio sono dense di quella concettualità velata, frutto di un'abitudine, un esercizio, una pratica continua e, dunque, anche di un lavoro manuale di sapienza artigianale.

Un collage di ricordi fatti di strappi, ferite, combustioni, capelli, sabbie, ceneri, fuliggini, pennellate bituminose e lacerti di stoffe e di carte di giornale, livellati dalla spaesante quasi-monocromia sui toni seppia delle sue tele.
Il titolo della Mostra è già fonte di interesse a partire dal suono di chi lo ascolta: Ohne Blick "senza sguardo", ci racconta di uno sguardo dimenticato, non dipinto, cancellato, occultato dalla mano dell'artista. Ci racconta anche dell'amore dell'artista per la letteratura e la poesia mitteleuropea, in particolare per l'opera di Rilke, e pone in evidenza la formazione filosofica esistenzialista che ne accompagna il pensiero creativo e vitale.

L'arte di Dusio, l'artista demiurgo, è figlia di un'esigenza espressiva forte e irrinunciabile che s'impone brutalmente nella sua vita; come dice la bravissima Federica Soldati, giovane curatrice della Mostra, « … dalle tele si sente l'aria densa, pulviscolosa degli incantevoli ateliers del pittore: luoghi ricolmi di oggetti, di opere, d'arte, di vita, nei quali il tempo appare sospeso nella palpabile estensione del presente. L'arte scivola oltre la soglia, nella vita, e la vita penetra nell'arte. L'una vive dell'altra e nell'altra, in una "assoggettata autonomia".
L'inquieta esistenza estetica di Maurizio Dusio ricerca l'eternità delle forme ohnezeit, senza tempo. Nelle opere si ritrovano elementi primigeni, archetipi, mutuati da una conoscenza dell'arte etrusca e della cultura nuragica: simboli ancestrali che lo avvicinano alla dimensione atemporale e che concorrono alla sua tensione verso l'eterno. Un ritorno all'eternità delle proprie origini, che si riflette anche nei paesaggi presentati in mostra. Ampie tele dipinte con nerofumo, catrame e cere, rivelano

paesaggi in cui i luoghi più cari all'artista si confondono in un unico orizzonte, dove si stagliano pareti rocciose, pendii, scogliere».

Il confronto col Passato, sentito come necessario, si esplica attraverso citazioni colte: il disegno raffinato del Pisanello, i marcati profili di Piero della Francesca, la grazia dei ritratti botticelliani; essi si delineano nei dipinti su carta intelata di piccole dimensioni esposti.
Anche le donne appaiono come discrete protagoniste nelle tele di Dusio. Esse sono tuttavia «donne incomplete, che sorreggono il peso di feti, figli mai nati, amari fardelli di un'esistenza non vissuta. Non donne, non madri, ma sagome avvolte in antichi sudari, testimoni di una mortale esistenza. Sono ombre, presenze private di una dimensione umana mai conosciuta che propendono a una forma ancestrale, a divenire pietre, betili per ritrovare la natura di mater generandi, colta in tutta la sua vitale potenza. Dusio ne copre gli occhi, occulta quello sguardo che le identifica e che le lega a un mortifero passato. Perdono il loro sguardo ma "non è una perdita d'identità", spiega l'artista, "ne ricevono di profondità". Figure per lo più femminili, donne forse, sagome informi dipinte sulle tele, abbozzate nel materiale scultoreo. Echi di donne, donne private di un'umanità mai conosciuta, donne avvolte in antichi sudari, testimoni di una mortale esistenza».

Non ci resta quindi che invitarvi ad abbracciare con il vostro Sguardo -questa volta- la lirica cerebralità di queste opere, invitandovi a scoprire quella "pietra incastonata nelle profondità".