Peter Paul Rubens (1577-1640)
Saturno divora uno dei figli, 1637-1638
Madrid, Museo del Prado.

Il mito greco ci tramanda la visione di Saturno come un padre talmente dispotico e tiranno da decidere di ingoiare i suoi figli per la paura di essere, da loro stessi, detronizzato. Un chiaro suggerimento: è evidente come già all’epoca, a livello psicologico, le problematiche non risolte si tramandano di generazione in generazione, di padre in figlio. Rubens dipinge alla fine degli anni ’30 del 1600 questa drammatica tela raffigurante proprio il dio Saturno nell’atto di mangiare uno dei figli, ma quello che ci interessa è un piccolo particolare posto nella parte superiore della tela. Il corpo celeste rappresentato è ovviamente Saturno, che viene però raffigurato in una maniera piuttosto singolare: esattamente come Galileo lo aveva osservato nel 1610, con uno dei suoi primi cannocchiali. Infatti la scarsa potenza dello strumento a disposizione del Grande Scienziato, non gli aveva permesso di capire che quelle protuberanze appena visibili intorno al pianeta, erano in realtà anelli formati da milioni di piccoli frammenti celesti orbitanti attorno al corpo celeste principale. Egli pensava invece si trattasse di due satelliti che, trovandosi molto vicini, orbitavano insieme al pianeta stesso. Ecco la descrizione pubblicata da Galileo nel “Sidereus Nuncius”: “Saturno non è un astro singolo, ma è composto di tre corpi, che quasi si toccano e non cambiano ne’ si muovono l’uno rispetto all’altro, sono disposti in fila lungo lo zodiaco e quello centrale è tre volte più grande degli altri due….”. Soltanto Christiaan Huygens nel 1659 pubblicò il trattato “Systema Saturnium” in cui descrisse la presenza di anelli intorno a Saturno, non collegati in nessun punto con il pianeta. Evidentemente il progresso tecnologico aveva dato a lui per primo la possibilità di cogliere questa differenza. Ancora una volta siamo di fronte ad un’eloquente dimostrazione di come le scoperte scientifiche esercitino un’importante influenza sul mondo dell’Arte ma soprattutto di come la comunicazione artistica “contemporanea”, di allora e di sempre, sia in grado di fotografare il Mondo esattamente come lo vedono gli uomini, con la definizione, le tinte, le sfumature e le imprecisioni che l’epoca stessa è in grado di restituire: l’Arte è quindi lo sguardo del tempo.

Capire le opere di ogni periodo storico equivale a contestualizzarne il momento, comprenderne la società, l’ambiente, la cultura e quindi la peculiare modernità.