"Mauro, come descriveresti la dicotomia arte-architettura nella odierna progettazione di edifici?"
"L'atto creativo vero e proprio, la fase eroica nelle nostre realizzazioni, corrisponde all'approccio iniziale con il committente. Se per arte diversamente si intendono una serie di stilemi immediatamente riconoscibili, allora non saprei se questa è la definizione più corretta. Per quanto concerne il nostro studio, il nostro modo di immaginare l'architettura, ciò che ci contraddistingue è la presenza di elementi puri e senza fronzoli, senza decorazioni. Persino ciò che sembra un elemento decorativo-stilistico, come può apparire talvolta l'utilizzo del legno a vista, rappresenta per noi una scelta strategica che nello specifico è funzionale alla regolazione termica dell'edificio. Il nostro concetto di arte, ciò che contraddistingue il nostro pensiero creativo è sempre legato ad un'idea di pulizia formale, di essenzialità, di funzionalità radicale nella distribuzione degli elementi. Le nostre realizzazioni vogliono riflettere un'idea formante di semplicità, luce e calore. Come un blocco di marmo per uno scultore, così la costruzione di un edificio nasce da un processo di sottrazione. In questo modo i "volumi puri scavati da aperture, definiscono con decisione il rapporto tra la materia e il vuoto concreto delle trasparenze".

"Volutamente la vostra filosofia non si rifà ad un

modello artistico-architettonico determinato specificamente. Se dovessi però individuare delle suggestioni implicite, quali sarebbero le più consonanti con il vostro modo di intendere l'architettura?"
"Si, è vero cerchiamo di evitare la semplificazione delle facili etichette, pur tuttavia vi sono dei nomi importanti in cui ci riconosciamo molto. Tra tutti Giancarlo De Carlo, a mio parere il più grande architetto italiano del secondo novecento e poi sicuramente Giuseppe Terragni con il suo modo di intendere il razionalismo. Un altro riferimento poi è senza dubbio Glenn Murcutt, un architetto australiano di una bravura imbarazzante che ha all'attivo un esiguo numero di realizzazioni, quasi tutte nella sua zona, ma che gli hanno permesso di vincere svariati premi. Come omaggio alla sua intuizione nel leggere il paesaggio, che è sempre un connubio di elementi urbani e naturali, abbiamo introdotto nelle nostre realizzazioni il suo modo di modellare i pluviali in senso artistico-scultoreo. Se devo poi rileggere in chiave puramente artistica i nostri lavori, mi seno molto vicino alle opere di Daniele Di Luca, un artista varesino oggi di stanza a Palermo".

"Tu parli
di paesaggio come un connubio di elementi urbani e naturali. Nella definizione di un nuovo progetto, quanta parte detiene e quanto incide questo nella sua realizzazione?"
"Innanzitutto un edificio deve essere come un vestito per chi vi andrà ad abitare effettivamente. Questo aspetto e il luogo dove andrà ad insediarsi, ne costituiranno un imprinting fondamentale. L'ambiente ci parla sempre, ci comunica

sempre qualcosa e l'architetto ha il compito di porsi in ascolto e saper aprire così un dialogo continuo con il territorio naturale e le costruzioni antropiche. I colori ed i materiali del luogo saranno quindi gli ingredienti di una composizione più vasta, che solo dall'esterno in maniera superficiale può essere interpretata come uno stile codificato. In realtà questa interpretazione si ricollega ad una visione manieristica che non ci appartiene".

"La speculazione edilizia degli anni '50, '60 e '70 ha modificato profondamente l'andamento architettonico delle nostre città,  pensi che vi sia la possibilità di rinnovare o convertire questi spazi esteticamente degradanti?"
"Ciò che è accaduto dagli anni '50 in poi è perlopiù riconducibile ad una strada lastricata di speculazione edilizia priva di una progettualità gestionale, che io farei proseguire a diversi livelli fino ai nostri giorni. Per vedere la differenza con ciò che ci circonda è sufficiente fare dodici chilometri e superare il confine elvetico. In Svizzera vi è un'attenzione al paesaggio tout court molto più elevata della nostra ed una superiore qualità media dell'architettura. Al di là di questa considerazione, trovo che una possibile via potrà essere quella tracciata dall'architettura bioclimatica applicata al patrimonio edilizio esistente di non eccelsa qualità. La parola d'ordine dovrebbe auspicabilmente essere qui riconversione. La riconversione quindi degli edifici da un lato ed una loro acquisita autosufficienza termica dall'altro. Perché queste prerogative possano però diventare un orizzonte concreto, dovremmo attendere un piano di riforme orientate all'utilizzo consapevole del suolo e cosciente della sua ineluttabile limitatezza".