Dalla Sala Alessi di Palazzo Marino a Brera son davvero pochi passi. Anche per questo, durante le frenetiche discese a Milano per gli acquisti di Natale conviene ritagliarsi momenti non solo di tranquillità ma anche di autentica soddisfazione andando ad ammirare opere d'arte che magari si conoscono già, ma che, fuori dalla loro consueta collocazione, possono rivelarsi nella vitalità dei sentimenti e in tutte le loro invenzioni e finezze pittoriche.

Allora la coda al freddo in piazza Scala non pesa più di tanto in attesa di vedere la Madonna di Foligno prestata fino al 12 gennaio a Palazzo Marino dalla Pinacoteca Vaticana, grazie alla ormai collaudata disponibilità di ENI. Dipinta da Raffaello fra il 1511 e il 1513, negli anni fervidi e vividi della decorazione delle Stanze, é un emozionante ex voto voluto da Sigismondo de' Conti, segretario di Giulio II, sfuggito alla morte per l'intervento della Vergine. Essa appare in alto, circonfusa da un'azzurra chiostra di angeli, col Bambino che, pensoso e pieno di energia,vuol già scendere tra gli uomini. Sotto i tre santi Giovanni il Battista, Francesco e Gerolamo, commossi e vibranti di fede, alzano gli sguardi insieme con il committente delineato in acutissimo ritratto. Sullo sfondo, dietro a un putto dall'espressione consapevole, un paesaggio acceso dagli sprazzi di luce dell'arcobaleno e dal misterioso corpo infocato che sta piombando su una casa e par che il colore

luminoso rivelato a Raffaello dai veneti intrida il quadro così che esso, come ha scritto il Vasari, "in tutta perfezione é singulare e bellissimo".

Vien voglia, a questo punto, di raggiungere Brera per far sosta doverosa davanti ad un altro capolavoro del pittore di Urbino: lo Sposalizio della Vergine, dipinto a 21 anni, nel 1504, un'opera di ineffabile armonia non solo nei suoi sapienti raccordi prospettici. E già che si é lì, lontano dal clamore e dalla folla, val la pena di rivedere anche altri due capi d'opera per i quali, grazie al sostegno di Skira, main sponsor Van Cleef & Arpels, il regista Ermanno Olmi ha studiato un percorso di sapiente crescendo drammatico. Entrando nella sala VII ecco subito la Pietà di Giovanni Bellini, struggente vesperbild che addolcisce, umanizzandoli, gli "sbalzi statuari" (Longhi) degli eroi del cognato Andrea Mantegna a cui spetta il Cristo morto in audacissimo scorcio sulla Pietra dell'Unzione; questa tela, entrata a Brera dopo essere stata

del bustese Giuseppe Bossi, é deposta proprio in basso, sul fondo della sala a suggellare un dolore senza parole, scolpito come in un bassorilievo dell'antichità.

A questo punto, prima di lasciare l'ovattata atmosfera della Pinacoteca, si possono raggiungere le sale XXX-XXXIV dove si dipana, a cura di Simonetta Coppa e Paola Strada, la mostra del Seicento lombardo a Brera. E qui drammatiche pale d'altare del Cerano più eloquenti di una predica, languidezze di Giulio Cesare Procaccini e livori di santi in estasi del Cairo e di Ortensio e poi straordinari ritratti di intensa espressione di Daniele Crespi e del Tanzio da Varallo e quello di famiglia dei pittori Carlo Francesco e Giuseppe Nuvolone che ancora Giuseppe Bossi definì "capo d'opera": non solo di pittura ma anche perché lì si intende appieno quell'affettuosità tutta lombarda che continua nel tempo e fa belle tante pagine di Manzoni e di Carlo Emilio Gadda.