Le stanze, in Giappone, com’è noto, si misurano in Tatami. La Stanza dei Poeti misura quattro tatami e mezzo. Ricordo che questa grandezza corrisponde alla classica dimensione riservata agli ambienti per la cerimonia del tè.

E’ una sala appartata, intima, sembra l’interno dello scafo di una nave. Legno avvolgente, vuoto che lascia spazio.

Il luogo migliore per mettersi in ascolto del proprio respiro.

La stanza è la dimora della creatività, infatti è dedicata alla recitazione della poesia, attività molto diffusa nelle famiglie appartenenti a tutti i livelli sociali del Giappone nel XVII secolo.

La signora che ci farà da guida arriva in bicicletta, tutta trafelata e inzuppata di pioggia, con l’impermeabile e la borsa nel cestino, quasi fosse una Jessica Fletcher nipponica. Avrà più di settant’anni ma è vispa e simpatica. Sarà lei a condurci alla scoperta di una delle abitazioni più sensazionali che io abbia mai visto: la casa Nijo-Jinya.

Siamo nell’affascinante e oscura residenza appartenuta alla famiglia Ogawa fin dal 1600. Si tratta dell’abitazione di un’antichissima stirpe di samurai poi diventati commercianti e farmacisti, utilizzata in passato per ospitare illustri personaggi, spesso forestieri, poiché si trova molto vicina al castello di Kyoto, residenza dell’imperatore del Giappone nel periodo Edo.

Dall’esterno si presenta come un’insospettabile casetta di legno e tegole scure, nascosta nel groviglio di vicoli della parte più antica della città. All’interno rivela invece un labirinto di sorprese: botole, nascondigli, strutture di difesa, sistemi antincendio, passaggi segreti, fessure per spiare gli ospiti senza essere visti.

Sembra l’ambientazione perfetta per un film di spionaggio con James Bond come protagonista, invece siamo in pieno ‘600, quando tra queste mura di legno, giardini e stanze da tè si tessevano le sorti dell’impero, si tramava contro il regno e si combinavano i grandi affari delle famiglie di commercianti.

La Fletcher continua a spiegare vorticosamente in un inglese spedito, snocciolando date ed eventi salienti della storia di questo popolo. E’ felice nel vederci così interessati, esprime gioia nella sua esposizione come quelle rare professoresse che ce la mettono tutta per farti amare la loro materia.

Ad un certo punto entra in un ambiente poco illuminato e smette di parlare. Noi la seguiamo varcando la soglia di quell’ennesima stanza ma non troviamo nessuno al suo interno. Esaminiamo con cura le pareti e sembra non esserci altra apertura all’infuori della porta dalla quale siamo entrati. Dove può essere finita? La suspense dura diversi minuti. Poi udiamo un rumore sordo e la vediamo sbucare da dietro un pannello dipinto. Ride di gusto. Noi la guardiamo increduli ma abbiamo afferrato il concetto: si tratta di un altro trucco. Questi Ogawa erano geniali. Avrebbero fatto fessi tutti gli europei e non solo.

Sul pannello dalla quale è comparsa la signora è dipinto un enorme Enso: un cerchio vuoto tracciato con un sol colpo di pennello. Nero su fondo bianco. E’ il simbolo supremo dell’illuminazione zen.

Nella sua apparente semplicità rappresenta l’incedere cosmico del vuoto e dell’infinito, del visibile e dell’invisibile, l’eterno ritorno dei giorni e delle stagioni. Il suo tratto rivela la qualità del maestro, perché non è possibile tracciarlo con sicurezza e fluidità se non si possiede la calma e l’energia dell’illuminazione. La scritta a sinistra recita: “comprendere il cerchio significa capire l’universo”.

Disegno e calligrafia nella pittura giapponese sono un tutt’uno: il grande pittore è anche esperto calligrafo e maestro di meditazione. Quest’arte si chiama shodō, la via della scrittura. Rapidità, sintesi e naturalezza sono qualità ideali del segno che, anche se tracciato dopo una lunga riflessione, risulta leggero come una brezza primaverile. Con poco si può dire molto, e spesso con molto si dice poco.

La signora Fletcher mi porge gli strumenti e mi chiede se voglio provare a dipingere un enso. Non me lo faccio ripetere due volte.
Afferro la carta di riso e il nangō, il pennello di capra a setole morbide. Un tratto scuro, deciso. Il colore si spande lentamente con movimento circolare. In questo istante il cosmo è tutto dentro di me. Il bianco emerge al centro del foglio: orgasmo di luce. Il pennello danza in tondo e risucchia le vibrazioni contrarie, lasciando la mia energia libera di fluire. Si può anche chiamare armonia, se si vuole.

Ora si spalanca la bellezza: cerchio si è chiuso. Specchio, luna, punto zero, gravità. Non ci sono regole formali, si può imparare a qualsiasi età. Ogni essere è soggetto a lento cambiamento.

Il suggerimento della nostra guida è «non lasciare che gli altri ti riempiano la testa: scopri da te il tuo significato.»

Prima di lasciarci e scappare via con la sua bicicletta, nel portico della casa, davanti a una miriade di vasetti fioriti disposti con l’eleganza dell’antica arte Ikebana, la signora ci regala un’ultima perla di saggezza.

«Un giorno un’immensa folla di persone si radunò per ascoltare gli insegnamenti del saggio Shakyamuni, il Buddha. Il Buddha, per tutto il tempo, non disse una parola. Tenne semplicemente in mano un fiore».

La Fletcher sorride e ci saluta con lo sguardo materno di chi ha seminato un grande insegnamento, sapendo che non potrà mai vedere il raccolto.

Ivo Stelluti, il Viaggiator Curioso,
Kyoto, Giappone, 30 aprile 2019.