Non molti artisti riescono a coinvolgerci a tal punto. Con le sue opere Jeff Wall (nato a Vancouver nel 1946 e pioniere della fotografia concettuale e post-concettuale che con le sue riflessioni ha aperto la strada ad innumerevoli altri artisti) è in grado di instaurare un dialogo tra sé e lo spettatore, mettendolo nella condizione forse più nobilitante per un essere umano: quella interrogativa.

Ogni particolare stimola infatti ad un'osservazione più attenta della realtà che ci circonda, nonostante (…e aggiungerei paradossalmente!) queste stesse immagini siano frutto di una sapiente costruzione in studio, risultato di attenta pianificazione e di giorni, addirittura settimane, di prove e shooting. L'alterazione digitale sta quindi alla base di molte delle sue creazioni, anche se le scene rappresentate sembrano afferrate proprio da quella realtà quotidiana, di cui dà una personalissima interpretazione. Al contrario dei maestri della grande fotografia "classica", le images à la souvette di un Cartier-Bresson o di un Doisneau ad esempio, Wall opera in maniera contraria, senza tentare di afferrare l'attimo in cui la realtà si manifesta nelle sue declinazioni più poetiche, ma strutturandola, costruendola in maniera quasi teatrale in modo da individuare quelle situazioni che, proprio in virtù della loro trivialità, si svelano al nostro sguardo in tutto il loro fascino.

Questo accade soprattutto nella serie Diagonal Composition (1993-2000), dove il fotografo sembra prediligere proprio quegli angoli apparentemente dimenticati e abbandonati, insignificanti, ma

potenzialmente carichi della stessa armonia che fece grande l'idea estetica delle Avanguardie: lo stesso rigore geometrico, la stessa purezza di linea rintracciabile nelle composizioni astratte di inizio secolo (Mondrian, Malevich, ma anche i primi passi della fotografia d'avanguardia sovietica all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre, oltre a evidenti richiami all'essenzialità poetica dello sperimentalismo dell'ultimo Paul Strand). Un'altra serie di composizioni richiama invece la nostra attenzione su gesti, situazioni, oggetti apparentemente anonimi, ma forti di un intimo potere evocativo: ogni cosa è viva e ogni nostro atto merita la cura necessaria per poter essere valorizzato in tutto il suo mistero, come sfogliare un catalogo (A woman Consulting a catalogue, 2005) o sistemarsi una scarpina (come la fanciulla di After spring snow, un omaggio a Yukio Mishima, scrittore e drammaturgo giapponese).

"Le foto di Wall hanno sempre una dimensione pittorica e fisica che spesso riporta ai quadri di Manet, Courbet ed altri protagonisti dell'arte Moderna" afferma Bonami, curatore della mostra. In effetti, lo stile pittorico e compositivo di molti suoi "scatti" tradisce una raffinata conoscenza della storia dell'arte, ricorrendo spesso alla citazione di grandi capolavori del passato o alla ricostruzione di scene trovate in famosi romanzi. Ad esempio, la violenza inesplosa di Mimic (1982) ricalca l'oscuro realismo del celebre dipinto di Gustave Caillebotte, Place de l'Europe par temps de pluie (1877), in cui l'atmosfera ovattata e il clima di cupa indifferenza tra i passanti lascerà spazio (all'interno di un ideale collegamento tra le due opere a distanza di quasi un secolo!) all'intolleranza e all'odio razziale, come infatti avviene nella fotografia di Wall.

Lo stile fortemente narrativo del suo lavoro appare ancor

più evidente grazie all'accostamento di alcune situazioni, messe bene in evidenza dalla sapiente disposizione delle opere nelle sale; notiamo infatti come Insomnia (1994) possa collegarsi alla più recente In front of a night club (2006): la desolante solitudine di un uomo accovacciato sul pavimento della cucina potrebbe fare da pendant ad un altro tipo di contesto, quello più affollato e chiassoso di un gruppo di giovani in attesa di vivere in maniera diversa quella stessa notte, attendendo di entrare in discoteca, oppure anche all'immagine di un uomo in procinto di iniziare la propria giornata lavorativa; queste ed altre ancora si presentano come storie possibili, più o meno drammatiche, che ognuno di noi riallaccia ad un proprio vissuto personale: la quotidianità delle immagini di Wall è infatti capace di convogliare e contenere stati d'animo diversi tra loro.

Anche il genere paesaggistico non manca di essere indagato dall'occhio fotografico dell'artista: in una serie di scatti fatti in Sicilia egli pone la natura dei luoghi come tramite funzionale ad ognuno di noi per comprendere da quale distanza e angolazione si possa riconoscere il carattere collettivo della vita dell'individuo; ogni luogo è infatti segnato dalla presenza umana ed in tal senso quindi "parlante", carico di memoria e senso.
La mostra al PAC esplora quindi campi diversi dell'opera del fotografo canadese: sia dal punto di vista contenutistico portando alla luce temi come la solitudine, l'indifferenza, l'odio razziale, la povertà, la violenza urbana, le tensioni sociali e la storia; sia dal punto di vista della tecnica fotografica: a fianco alle consuete stampe fotografiche sviluppate in diversi modi (dalla stampata a getto d'inchiostro su carta a quella alla gelatina d'argento) troviamo infatti una selezione di produzioni in bianco e nero e di lightbox, delle teche retroilluminate riportanti l'immagine stampata sulla parte anteriore, efficacissime nel rendere ancora più vivi e brillanti i colori e conferire alle scene un effetto scenografico di grande impatto.