Quando si parla di un artista, qualcuno che eccelle in questa o quella disciplina per così dire, ci si immagina, o perlomeno si è portati a pensare che quello sia ciò che lo contraddistingue. Ciò che in qualche misura lo rende degno di quella sintetica definizione. Per Fabio Ilacqua questo facile sillogismo va sicuramente stretto.

Così si rimane incantati quando si ha l'occasione di leggere dei passaggi come il seguente
, dove lo scrittore sembra condurci tra i colori caldi e tiepidi del ricordo.
"(…)Sono rimasto a fissare il buio seduto sul bordo del letto aspettando che l'acqua fredda e trasparente trascinasse a valle ogni cosa. Poi ho posato la testa sul cuscino e allora è successo. Il vecchio con cui avevo pranzato quel pomeriggio si è avvicinato piano, risalendo il sentiero affollato della memoria. E' venuto calmo, con le sopracciglia dure e intricate come questi boschi ai piedi delle alpi, che vegliano sulla piana, sul piccolo villaggio. Nel dormiveglia cercavo le parole giuste per quell'uomo. Avevamo parlato a lungo, bevendo vino di casa. Dovevo prendere le sue parole e le mie e suoi vecchi compagni, le mani indurite che vagavano sul tavolo stringendo bottiglie di grappa forte. Dovevo raccogliere tutto questo e la gioia che vibrava sotto la tua pelle al mio fianco mentre tornavamo impazienti alla nostra stanza. Dovevo setacciare ogni granello di sabbia scura perché affiorasse quello che stavo cercando, le parole giuste. Sceglierle con cura, onestamente e lasciare al fiume tutto il resto. Il suo nome per esempio, il timbro della sua voce e i suoi vestiti, certo. Potevo tenere il profumo dell'aria lavata dalla lunga pioggia e il sole che a tratti riscaldava la groppa di un mulo circondato da bambini. Soltanto questo e i suoi occhi grigi, nascosti come bestiole nel fitto del bosco. Ho acceso la piccola lampada di fianco al letto, una debole luce azzurra ha rischiarato il legno del soffitto e del pavimento, l'ocra dei muri. Mi sono voltato per guardarti dormire. Anche questo, avrei tenuto anche questo".

"Fabio, nei tuoi quadri attraverso gli sguardi dei soggetti che ritrai
, mi sembra di cogliere sempre una tensione, qualcosa che essi stessi vogliono comunicare. Quasi come se il tuo intervento nel ritrarli volesse liberare quella scintilla di verità che c'è in loro. Questo approccio lo rivedi anche nella tua produzione poetica?"

"Diciamo innanzitutto che l'esperienza della scrittura è qualcosa a cui sono sempre stato legato, ma che non ho mai portato avanti in maniera compiuta, se non altro per ciò che riguarda la poesia. Si, è vero lo sguardo di un viso che ti guarda è qualcosa che attrae per primo me stesso che cerco di fissarlo sulla tela. Quando dipingo non cerco però di coglierne l'emozione, non voglio cogliere un momento specifico, la sensazione mutevole di un attimo particolare. Quello che più di ogni altra cosa mi interessa è fotografare l'essenza della persona che ho di fronte. Vorrei sparire davanti a quelle umanità incarnate, a quelli che sono "pezzi di carne" davanti alla vita. La vita in fondo non possiede un senso in sé e io non cerco di interpretarla se non attraverso una fotografia viva dell'uomo. Anche questo, se si vuole, è un racconto. Un racconto fatto di pelle e di movimenti cristallizzati e instabili assieme. Se dovessi cercare un motivo di fondo alla mia pittura, come del resto a ciò che scrivo, sarebbe il tentativo di fermare il tempo sulla tela o sulla carta. Quando scrivo una poesia so che tutto deve essere concentrato, la poesia è come una perla che concentra tutto in sé stessa, forse come uno sguardo che ci osserva, se dovessi pensare ancora una volta alla pittura".

"La ricerca alla base della tua pittura si ripropone anche nel rapporto con la scrittura
poetica, o vi sono delle differenze di approccio e di obiettivi?"
"Ogni modalità artistica che utilizzo, dalla pittura, alla musica, passando per la poesia, come dicevo, ha il proposito di sviluppare una indagine sull'uomo, una ricerca che per forza di cose non dà risposte e che si risolve nella ricerca stessa. L'arte del resto per essere tale deve essere "inutile" e contrariamente a ciò che si possa pensare non deve essere una via per la realizzazione personale. Non è che se faccio dieci dipinti per esempio, alla fine della giornata mi sento più realizzato, non funziona proprio così. Quando si sviluppa un rapporto di identità con ciò che stiamo creando, è come se trasferissimo noi stessi in una dimensione di atemporalità. Questo movimento costa energie, soprattutto mentali e alla fine quando si abbandona la penna sulla carta o si ripone il pennello nel barattolo, ciò che ci rimane è un diffuso ed inesorabile senso di vuoto. E' come essere vittime di una fame insaziabile, un'invisibile forza che ci governa. Se dovessi però definire il mio lavoro, ciò che faccio per vivere, preferirei riferirmi alla figura dell'artigiano piuttosto che a quella dell'artista. Preferisco l'intelligenza

delle mani ad un intellettualismo che si specchia narcisisticamente".

"Nella produzione pittorica hai dimostrato di prediligere delle tonalità tenui o perlomeno non fortemente contrastate, ponendo in evidenza soprattutto le caratteristiche fisiche o posturali dei soggetti di volta in volta raffigurati nelle tue tele. Alla luce di questo, come descriveresti l'utilizzo dei "colori" nella tua poesia?"
"Nei miei dipinti l'uso del colore non è foriero di significati nascosti o frutto di una ricerca cromatica precisa. Ciò che mi preme soprattutto è fare emergere le figure, di conseguenza capita spesso che lo sfondo per così dire sia scialbo, creando talvolta contrasti marcati. Mi interessa scuotere l'osservatore. Quando mi dicono che i miei quadri sono inquietanti sono contento, molto di più comunque di quando mi dicono che sono belli. Io non cerco di fare dei bei quadri, piuttosto dei quadri veri, che vibrino. Quando scrivo una poesia per forza di cose non ho questa possibilità, diciamo che tutto avviene in modo molto più istintivo. Nel caso per esempio de "le parole giuste" la scrittura è avvenuta di notte. Avevo come una galleria di immagini nella mente, un caos ordinato che cercava una via per uscire ed a cui tentavo di dare una voce".

L'incontro con Fabio è stata un'occasione di confronto aperto e vivace. Un artista, o meglio un artigiano come si definirebbe lui, che attinge a piene mani dalla tradizione e che mostra orgoglioso le sue radici e l'attaccamento ai suoi luoghi, il borgo di S. Ambrogio a Varese, ma anche le terre della Calabria e della Sicilia. Così prima di lasciare lo studio, ci salutiamo con la promessa di proseguire la chiacchierata alla prossima occasione.