"C'è da alzare in alto un bicchiere di rosso e ricordarlo così: ha vissuto bene fino all'ultimo, appassionato, vicino alla sua arte e soddisfatto di ciò che ha fatto e di quanti ha incontrato".
Un osservatore attento, un occhio indagatore (la definizione è di Sangregorio) mi ha fatto riflettere e rinsavire: il Maestro se ne è andato di colpo, lasciando tanti lavori a metà e tanti individui lieti di averlo incrociato nel cammino.
Chiaro e limpido nel racconto, acuto e profondo nei giudizi, lungimirante e casereccio quanto basta per farti sentire a tuo agio, Sangregorio aveva la capacità di leggerti dentro e di accoglierti al momento giusto.

Solo ora leggo questa frase: "Convinto sostenitore dell'idea che l'arte sia un avvenimento e non una categoria, ha sempre evitato la sterile autoriflessività formalistica, sottraendosi alla ripetitività".
L'arte è dunque qualche cosa che marca un momento, è una storia, un lampo, un'illuminazione che non c'è stata prima e che ora tocca la vita. Assetato di conoscenza e innamorato di nuove sperimentazioni, Sangregorio non ha disdegnato nulla: dagli elementi plastici in gommapiuma, alle pitture rupestri su roccia, dalla pietra, ai carboni e ai legni bruciati, al vetro che libera dal peso, agli ultimi feltri e alle superfici ruvide.
Henry Miller ha scritto: "L'arte non serve a nulla se non a mostrare il senso della vita". E questa frase mi è venuta in mente quando sono stata raggiunta dalla notizia della morte di Giancarlo Sangregorio.

Nato a Milano nel 1925, comincia da autodidatta a scolpire opere in pietra, affascinato dalla materia delle cave dell'Ossola, dove trascorre lunghi periodi. Terminati gli studi classici, frequenta i corsi di scultura all'Accademia di Brera a Milano. Di quel periodo sono le sue prime importanti mostre di gruppo nelle principali città italiane. Intraprende lunghi viaggi all'estero, in particolare a Parigi, dove ha uno studio. Intensifica i viaggi di informazione e contatto con artisti e gallerie in diverse nazioni, segue con interesse le proposte dell'arte informale e si distingue dagli artisti cresciuti con lui non accettando mai regole e mode solo per assecondare le aspettative di una certa critica. Dopo aver conosciuto il mondo terreno dell'Africa, inizia un viaggio in Oceania che lo porta lungo il corso del fiume Sepik ad avvicinarsi ai lavori degli scultori della Nuova Guinea. Significativa anche la ricerca sulle Impronte, esposte alla Fondazione Mudima di Milano nel 1994, con pubblicazione di un libro introdotto da E. Baj e R. Sanesi; altra recente documentazione è contenuta in Geomantica, edito nel 2003, con poesie di F. Marcellini. Un raro scritto dell'artista del 1979 "Dove sta di casa la scultura" riassume alcuni punti fondamentali del suo pensiero.
Ha esposto in Francia, ex-Jugoslavia, Israele, Belgio, Svizzera, Svezia, Stati Uniti, Messico, Argentina e in Italia nelle maggiori città d'arte.

Giancarlo se ne è andato ma la Fondazione porta avanti, oltre al suo nome, anche il suo lavoro e la sua passione: le opere patrimonio della Fondazione di Sesto Calende sono tra le più significative della produzione dell'artista e oltre a rappresentare un esauriente panorama del suo lavoro, possono essere considerate a tutti gli effetti il corpus più importante della sua produzione. La Fondazione, che non ha scopo di lucro, si propone l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale nell'ambito territoriale della Regione Lombardia, promuovendo iniziative nel settore culturale/artistico, ed in particolare si propone di conservare e valorizzare l'opera dello scultore Giancarlo Sangregorio, promuovendo e divulgando la conoscenza del suo lavoro, attraverso studi, ricerche e documentari.