Caravaggio a Porto ErcoleCaravaggio a Porto Ercole

Porto Ercole, seno profondo dell'Argentario, guardato in alto da due forti bastioni: qui or quattrocento anni chiudeva sua vita il Caravaggio e qui, su al borgo antico marinaro, nella chiesa di Sant'Erasmo, basta un dipinto del Merisi – ma che dipinto – per tenere una mostra-evento che non sa di vento ma di carne, luce, tenebra, spirito. Valeva il viaggio, lungo le marine di Carrà, i fantasmi etruschi e gli scabri ardori di Fattori.
La meta è là, nell'ombra e nello spazio sacro, suoi degnissimi compagni: il San Giovanni Battista della Galleria Borghese si adagia sul fianco, melanconico, rassegnato a non salvarsi, a stare in mezzo fra istinto animale insopprimibile e porpora di cardinale, classicità e natura, fra libertà e prigionia del pittore, che ci guarda e lega al mistero della sua morte, della sua vita e nostra attraverso gli occhi e gli specchi della pittura. Una morbida elegia di adolescente pentito, a trentanove anni sul punto di ottenere la grazia grazie ai suoi quadri, gli ultimi, imbarcati con lui sulla feluca che si fa pirata, glieli porta via. Non si sa molto di più degli ultimi giorni e momenti e movimenti di Caravaggio, in mostra rimandati sullo sfondo, nelle sequenze dei film vicini e lontani che diedero volti e abiti e paesaggi all'agonia del personaggio. Giovanni Battista non indica ma attende la grazia, è stanco, si rende ambiguo perché potrebbe essere anche Isacco disposto al sacrificio o addirittura il Cristo Buon Pastore: l'iconografia si complica con la biografia, Caravaggio è sempre di una sincerità disarmante e seducente, ti carezza e provoca e turba in una. Davanti a questo dipinto, sì, si può spender la parola "capolavoro", sorgente continua di sensi vitali.
Allora riempiti lasciamo la chiesa e l'Argentario, con un plauso a chi ha scelto questo gioiello per l'anniversario.