Serena ContiniSerena Contini

L'acribia della studiosa – La studiosa è pratica del territorio e ha familiarità con l'artista. Serena Contini, da anni, applica la sua perizia di studiosa e la sua curiosità archivistica, anche e soprattutto alla Valcuvia di cui è originaria e coltiva da tempi non sospetti il suo interesse per uno degli artisti legati indissolubilmente a quel canto della provincia: Innocente Salvini, il suo museo, la sue eredità. Per l'ultimo numero di "Terra e gente", la rivista storico-letteraria a cadenza annuale che indaga i corsi della Valcuvia, la Contini ha messo mano ad un carteggio ancora inedito, conservato negli archivi del museo che conserva l'opere di Salvini, dandone ampiamente conto, lumeggiando un aspetto – ed un periodo, quello degli anni Quaranta – ancora poco noto nell'opera del pittore.

Le minute – Il carteggio è quello tra Salvini ed Emilio Zanzi (1883-1955), giornalista di vaglia, attivo nei primi decenni del secolo scorso, tra Milano, Torino, Genova, per la Gazzetta del Popolo, divenuto poi Gazzetta d'Italia, gallerista. E varesino di nascita. Poco più di venti le lettere ancora conservate nel fondo indagato dalla studiosa. "La fortuna, studiando un archivio in entrata – spiega la Contini – è quello di aver recuperato anche materiale in uscita: una lettera di Salvini ritornata al mittente, e due minute di lettere spedite. Preziose per analizzare il pensiero dell'artista". L'altra metà del carteggio, quello di Zanzi, è stato invece purtroppo smembrato nel corso degli anni, impedendo alla studiosa un approfondimento e una verifica speculare.

La copertina di "Terra e gente"La copertina di "Terra e gente"

Uniti nella fede – Dalla ricostruzione del rapporto tra i due emerge, nitido, un profondo affetto reciproco, ma non solo. Fin dalla prima missiva conservata. Quella che Zanzi scrisse a Salvini, dopo il loro primo incontro presso la "casa romita" di Cocquio; una "visita indimenticabile", scrive il critico, avvenuta nel settembre del 1944. Una lettera densa di gratitudine e riconoscenza. "Emerge, in chiaro – continua Serena Contini – una stretta condivisione di una idea di arte molto legata alla comune testimonianza cristiana". Mite, pio, Salvini; più energico anche nella ridondanza galvanizzante della prosa, Zanzi. Entrambi convenivano sull'idea che l'arte dovesse essere "l'epifania del creato", un continuo omaggio alla bellezza e alla grazia di Dio. Un arte narrata e narrante, intrisa di pietas e di affetti diffusi, di partecipazione. Un sostegno umano e critico quello di Zanzi che non è stato mai più di tanto evidenziato nelle antologie critiche, da ultimo anche nel documentato catalogo della mostra a Masnago di qualche anno fa e che tuttavia travalicò il decennio preso in esame per prolungarsi anche agli anni Cinquanta, con la presentazione per la personale di Salvini alla San Fedele di Milano.

Il luogo comune – "La sua arte è controcorrente", scriverà ancora nel 1944 Zanzi. "Le darà qualche soddisfazione ma le sarà motivo anche di dileggi, di incomprensioni, di amarezze (…) tutti gli artisti prediletti da Dio sono stati sputacchiati e derisi da piccoli uomini che considerano l'arte un piacere e un divertimento. L'arte è tormento e preghiera". Ma neanche Zanzi, che pure conosceva da vicino artisti illustri come Sironi e Carrà, riuscì di più di tanto a sdoganare il 'pittore del Mulino'. Molti i progetti che si evincono dalle lettere, per mostre e Torino o Genova, purtroppo non andati in porto. "Ma si legge – conclude la Contini –  il fastidio e lo sdegno per l'incomprensione che Varese e la sua terra spesso hanno riservato a Salvini; incapaci per lo più di uscire dai luoghi comuni e dal mito del buon selvaggio, del pittore isolato. Troppo spesso accostato ai dilettanti di buone maniere ma di scarso sentire".