Flavio Arensi (Critico d'arte)
"Quando si parla di Panza di Biumo c'è sempre un alone di santità che perfonde l'aria. Si parla di uno dei più grandi collezionisti al mondo, ma non è vero. Partirei dal titolo nobiliare che gli piaceva ostentare, chiarendo come fosse stato ottenuto dalla famiglia per meriti "fascistissimi" (basta leggere i saggi del Prof. Gian Carlo Jocteau), come molti borghesi del resto fecero. Dal punto di vista della collezione mi pare abbia perorato la causa di un'arte molto fredda, minimalista, che oggi dimostra anche qualche debolezza dovuta alla riproduttività. Alla Villa non si può trovare il meglio perché questo è stato venduto o è in altri musei e collezioni. Panza Aveva il merito di credere in un gusto fermo, rigido e proseguire su una strada precisa, che può essere un vantaggio, ma anche uno svantaggio perché significa non mettere mai il naso fuori dal cancello di casa. Di sicuro è più interessante la Villa da quando c'è la Bernardini che non per Panza. In Italia è difficile toccare mostri sacri, ma una rilettura di tanto in tanto sarebbe auspicabile: non per sminuire, ma per capire che a volte è più importante la letteratura del fatto".

Mario Botta (Architetto)
"Quando scompare un amico scompare sempre un patrimonio. Siamo diventati tutti un po' più poveri proprio perché il suo essere punto di riferimento in quanto collezionista, ricercatore, scopritore di bellezza era in realtà anche una parte di noi stessi. Attraverso il suo lavoro ha fatto quello che noi non abbiamo saputo, abbiamo potuto fare. Il ricordo che si può avere del Conte Panza di Biumo è di uomo di un grande equilibrio, di una grande generosità umana. Credo che questo sia bello: ha al FAI la sua Villa con una parte della collezione che resterà un punto di riferimento per le generazioni future, un segno che qualcuno in precedenza ha pensato anche a questi valori nascosti".

Luciano Caramel (Ordinario di Storia dell'Arte Contemporanea – Università Cattolica di Milano)
"Penso che sia riduttivo ricordare Giuseppe Panza solo per la sua attività di collezionista e di mecenate. Si tratta infatti di un personaggio a tutto tondo, con numerose qualità umane non comuni: un vero filantropo che ha fatto molto anche per la città di Milano. L'ho conosciuto alla fine degli anni Cinquanta, in un momento direi fondante per l'arte contemporanea. La collezione di Biumo è la sua più grande eredità, anche se certamente non possono essere dimenticate le altre sue raccolte di straordinario valore in altre sedi museali. È stato un grande collezionista che, allo stesso modo di chi fa il mestiere dello storico, ha saputo guardare al presente anticipando il futuro. E l'altra qualità che posso citare è che non seguiva le mode, essendo veramente innamorato dell'arte. Ricordo anche la sua attività alla Galleria San Fedele di Milano e il suo lavoro di ricerca sulla scultura che ha permesso di dimostrare come questa forma d'arte sia tutt'altro che morta".

Carlo Bertelli (Docente Universitario, Storico, critico d'arte) 
"Un'aura di discrezione circondava il conte Panza, Beppe per gli amici. Senza darvi alcun peso, poteva snocciolarvi tutte le date della vita e delle opere di Tiziano, rammentare con precisione che cosa Baudelaire aveva scritto di Nadar. Ricordo questi sprazzi di conversazioni perché non si creda che conoscesse soltanto Wittgenstein o gli ultimi scritti di Rosalind Krauss. La sua presenza era sempre desiderata e apprezzata, a ragione della sua pacata pazienza di grande ascoltatore. Spesso alla fine di una conversazione impegnata, chiudeva con le parole "già, già", che non volevano significare la chiusura definitiva, ma piuttosto indicare a tutti l'opportunità di un'ulteriore riflessione. Il suo vero monumento è a Biumo, dove la villa perfettamente messa in ordine e ora affidata al FAI è un richiamo internazionale. Credo che in futuro le nuove generazioni di visitatori avvertiranno lo spirito di chi ha creato tutto ciò, in una stretta intesa tra due persone, Beppe Panza e sua moglie, l'intelligente, discriminante e sensibile Giovanna Saibene, che è stata il sostegno e l'ispiratrice del marito su di un cammino nuovo che i coniugi hanno avuto la gioia di scoprire di volta in volta, dietro ogni curva".

Chiara Gatti (Critico d'Arte)
"Elegante, gentile e riservato, Giuseppe Panza di Biumo era un gentiluomo d'altri tempi. Lo ricordo alle presentazioni delle mostre in Villa, quando, con poche, misurate parole, venate di modestia, raccontava la genesi della sua passione per un artista o per un altro. Autori a suo tempo (semi) sconosciuti ma in cui lui, con lungimiranza e istinto straordinario, era riuscito a scorgere l'intelligenza del lavoro e il suo potenziale valore futuro. Sarà per questo che molti hanno guardato alla sua figura con esitazione, accampando ipotesi sui suoi intenti speculativi. Credo che in realtà fossero solo gelosi. Del suo coraggio di scommettere (appena trentenne) sulle novità prepotente della giovane arte astratta americana. E del fortunato esito del suo fiuto da talent scout, guidato non dall'interesse ma da un autentico amore per l'arte".

Alessandro Morandotti (Docente Universitario, critico d'arte)
"I libri vanno letti più di una volta per essere intesi a fondo. Ce lo ricorda, se ce ne fosse ancora bisogno, "Ricordi di un collezionista", di Giuseppe Panza. Si tratta di un libro estremamente asciutto, che non strizza l'occhio al lettore con note di colore e racconti aneddotici. Panza non è un eccentrico o un esibizionista, e per questo licenzia un volume apparentemente poco accattivante; bisogna sintonizzarsi quindi sulla lunghezza d'onda del suo lento racconto per imparare a conoscere una delle personalità più singolari nella storia del collezionismo europeo della seconda metà del Novecento. La scelta dei toni sobri nella narrazione è fortemente controcorrente visto che il volume esce in un momento in cui collezionare l'arte contemporanea è diventata una moda sostenuta dalla febbre dei risultati d'asta e dal glamour dei rotocalchi. Panza appartiene a un altro mondo, più elitario e riservato: e, di fondo, molto più solido. Sono certo che leggendo la sua storia, apparentemente ‘grigia', saranno in molti a chiedersi come sia stato possibile che un signore tutto casa e famiglia, amante della normalità nella propria vita quotidiana, scandita da regole monastiche, abbia formato una delle collezioni più innovative della seconda metà del Novecento. Di fronte alle previste celebrazioni di artisti ‘facili' e commerciali come Julian Schnabel e David La Chapelle o di un pittore trascurabile come Fernando Botero, Panza, come spesso gli capita tra le righe del suo volume pieno di rimpianti per i numerosi incontri mancati con le istituzioni italiane, potrebbe certo ribadire il vecchio adagio a lui molto caro: nessuno è profeta in patria".

Licia Spagnesi (Critico d'Arte)
"Ho conosciuto Giuseppe Panza in occasione di un'intervista per Arte nel 2000, alla vigilia dell'apertura al pubblico della sua splendida Villa di Biumo. In seguito mi è capitato di incontrarlo alle fiere o ai vernissage, o di chiamarlo per sentire il suo parere sui fatti che spesso scuotono il piccolo mondo dell'arte. Era sempre molto disponibile con i giovani e discorrere con lui era illuminante. Aveva una mente apertissima nei confronti di ogni tendenza artistica, esaminava con serietà e rispetto, senza preconcetti, ogni manifestazione della creatività, perfino quelle più lontane dal suo gusto di raffinato collezionista. Passerà alla storia come uno dei più lungimiranti talent scout dell'arte americana e non solo, e molti lo ricorderanno per i suoi giudizi che coglievano sempre nel segno".

Francesco Tedeschi (Università Cattolica di Milano, docente di Storia dell'Arte Contemporanea)
"Giuseppe Panza non ha mai considerato l'attività di collezionista come mera e brutale operazione di investimento economico. Nelle opere minimaliste della sua collezione sono raggiunti vertici di spirito e di estetica, come una "vetta di 4000 metri". E se è evidente che molte delle opere presenti nella raccolta presentano difficoltà di interpretazione o di comprensione, è pur vero che per avvicinarle non occorre accanirsi sulle interpretazioni o sulle letture critiche. Basterebbe avvicinare o lasciarsi avvicinare dall'opera d'arte grazie all'emozione visiva. Allora il linguaggio contemporaneo è capace di parlare a tutti con la stessa intensità dei capolavori antichi".

Luigi Zanzi (Storico)
"Di Giuseppe Panza mi preme serbare e condividere una memoria attenta non soltanto alle vicende proprie di un collezionista d'arte della nostra contemporaneità, ben note a tutti, ma anche alla sua attenta cura a fare del culto dell'arte una scelta di un proprio "stile di vita" personale: nonché al riserbo con cui ha sempre saputo coltivare "il suo giardino" e al garbo con cui ha saputo intrattenere con chiunque un dialogo teso a comprendere piuttosto che a prevalere".