Autostrada A8, direzione Milano. Un pallido lunedì mattina del duemilaventi, ore 7:30. Procedo apatico e sonnacchioso trenta all’ora, incatenato nel solito ingorgo ma ad un tratto, all’autoradio, come per magia, escono le seguenti parole: “Oggi, svegliandomi, ho realizzato che tutto il resto è stupido: voglio provare a vivere1”. Senza pensarci più del dovuto metto la freccia alla prima uscita, percorro la rampa dello svincolo, imbocco la direzione opposta e un venti minuti scarsi sono di ritorno a casa. Ma ora come faccio?
Semplice. Basta un SMS al mio collega: “Stamattina non sto per niente bene – dolori lancinanti alle ossa, spossatezza generale e un blocco di granito nella testa. Mi sa che oggi, per la riunione, non sarò in ufficio”.
Spengo il cellulare, infilo qualche vestito comodo, afferro la moleskine, inforco la bici.
C’è un parco in fondo al viale, dove giocavamo da bambini con gli Scout. Dista un paio di chilometri da casa, ma per noi era la Giungla di Kipling. Saranno vent’anni che non ci metto piede.
La connessione fra cielo e terra è affidata agli alberi” ripeto mentalmente, mentre pedalo in affanno.
Chissà se c’è ancora quella grande betulla nella radura. Si, eccola! La riconosco. Mi siedo ai suoi piedi, nel prato ancora fresco di rugiada e incomincio finalmente, a scrivere il mio nuovo libro.

1 Sono i primi versi della canzone “Se io fossi il giudice” di Manuel Agnelli, Afterhours, tratta dall’album “Folfiri o Folfox”, Universal, 2016.

Ivo Stelluti, Il Viaggiator Curioso
Lunedì 13 gennaio 2020.