Bottega lombarda, Calice di Gian Galeazzo Visconti, 1396-1402 ciBottega lombarda, Calice di Gian
Galeazzo Visconti, 1396-1402

Il 5 settembre 1395, dopo che Gian Galeazzo Visconti era stato incoronato duca con solenne cerimonia in Sant'Ambrogio, la ricca corte viscontea aveva dato sfoggio della sua magnificenza con un sontuoso banchetto, svoltosi nella corte dell'Arengo, alla fine della quale erano stati condotti alla mensa alcuni vasi d'oro e d'argento, con molti fermagli, collane, anelli.

La mostra aperta nelle sale del Museo Diocesano di Milano, curata da Paola Venturelli e visitabile fino al 29 gennaio 2012, riporta in auge gli antichi splendori della corte viscontea e sforzesca attraverso la storia di importanti pezzi orafi, provenienti dalle più prestigiose collezioni italiani ed internazionali, molti dei quali mai esposti prima. Le fonti non forniscono purtroppo molti ragguagli su queste commissioni, elaborate sicuramente in base alla volontà della potente signoria lombarda, né informano dei loro artefici, con tutta probabilità da ricercarsi tra i membri della Scuola degli Orefici di Milano che annovera durante la prima riunione documentata (1311) ben novantasei presenze.

Per non precisate opere da eseguirsi entro il tempo dell'agognato conferimento del titolo ducale, il 7 agosto 1395 erano stati convocati per lavorare con l'aurifex Martino Astolfi, i colleghi Jacobinus de Fantiis, Martinolus de Sexto, Michelinus de Ampolariis, Inarinus de Cortisisis, Giorginus de Serrata, Christoforus de Robiate, Ricardinus de Rotis, Nicolinus de Gandello.

Certamente l'emblematica della casata costituita da stemmi, motti e imprese trionfava nei preziosi monili, così come succede anche nei Messali e lussuosi codici

Bottega lombarda, Fermaglio con un dromedario accasciato, iniziBottega lombarda, Fermaglio con un
dromedario accasciato, inizi XV sec.

miniati.

Abbiamo notizie di alcuni monili appartenuti direttamente a Gian Galeazzo Visconti grazie a due elenchi redatti nel 1417-18, registranti i gioielli dati in pegno alla duchessa Caterina Visconti a Giovanni Borromeo, per sopperire alle necessità finanziarie del ducato. I fastosi esemplari erano per lo più eseguiti in smalto con una raffinata tecnica di origine francese, en ronde bosse, diffusa poi in altri centri europei, in cui lo smalto è steso sopra l'oro lavorato a rilievo, creando così delle micro sculture, caratterizzate da soggetti naturalistici, anche in senso araldico.

Alle botteghe orafe del ducato sicuramente venne affidata l'esecuzione di preziose teche per custodire le numerosissime reliquie, segno di fede e prestigio; trittici in smalto e i numerosi fermagli, accessorio alla moda per le dame di corte, arricchiti da perle e minuscoli elementi fitomorfi in metallo.

Alla committenza di Gian Galeazzo si deve il prezioso grande Calice (alto 34 centimentri) nel Tesoro del Duomo di Monza. Basta soffermarsi ad ammirare le edicole del nodo, una vera architettura d'oro in miniatura, per capire il livello altissimo di questi grandi maestri orafi. Ai piedi del calice gli immancabili stemmi in champlevé con imprese e ed emblemi dei Visconti (oltre al biscione -con e senza aquila imperiale-, la colomba con il motto à bon droyt, la raza), il tutto in un insieme di grande qualità formale e tecnica che ha fatto pensare ad un disegno di

Medaglione apribile, Istituto de Valencia de Don Juan di Madrid,Medaglione apribile, Istituto de Valencia de Don
Juan di Madrid, con episodi della Passione

Giovannino de' Grassi, entro orientamenti inquadrabili nell'arte lombarda nel 1400.

Dopo la morte dell'ultimo erede Visconti, Filippo Maria, la tradizione orafa milanese seppe continuare anche sotto la dinastia degli Sforza, com'è testimoniato dal Tabernacolo realizzato per la cattedrale di Voghera datato 1456 (oggi nelle Civiche Raccolte d'Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano), le cui forme tardogotiche ricordano l'architettura del Duomo di Milano.

Un rinnovato vigore segnò il ducato di Ludovico il Moro che ricostruì il tesoro dinastico, la cui bellezza e ricchezza riuscì a stupire una raffinata collezionista quale Isabella d'Este, signora di Mantova.

Sono anni fervidi che vedono la presenza di Caradosso Foppa, maestro di Benvenuto Cellini, orefice abile nell'arte degli smalti, ma anche quella fondamentale di Leonardo da Vinci che si dilettava direttamente nella creazione di cinture e borsette, studiando gli smalti e altri materiali per produrre perle finte e oggetti preziosi. Alcune opere in mostra ricordano proprio il passaggio a Milano del genio toscano del Rinascimento, come la piccola anconetta del Museo Correr di Venezia, esposta per la prima volta, che cita la Vergine delle rocce, e la Pace con il Cristo in smalto azzurrato proveniente da Lodi.

ORO dai Visconti agli Sforza
Smalti e Oreficeria nel Ducato di Milano

Dal 30 settembre al 29 gennaio 2012
Milano, Museo diocesano
Orario: dal martedì alla domenica, dalle 10.00 alle 18.00, lunedì chiuso