M. Gordigiani, La principessa Margherita di SavoiaM. Gordigiani, La principessa
Margherita di Savoia

In questi giorni alla Scala si rappresenta con meritato successo L'Italiana in Algeri di Gioachino Rossini, un illuministico inno alla donna tutta d'un pezzo, dalle idee chiare e precise, che non arretra mai e sa compiere scelte autonome e risolutive. Vedendo una mostra a Bordighera e leggendo un libro su una famiglia padrona di ferriere a Lecco si trovano convincenti riprove.

Non so se la regina Margherita sia mai venuta nel Varesotto: lei preferiva passar le lunghe vacanze fra le montagne di Gressoney, a Stresa o davanti al mare di Bordighera e alla villa di Monza, poco distante da quella della contessa Litta, aborrita rivale in amore, non andava volentieri. Almeno due bustocchi però dovevano ammirarla molto se di lei possedevano nelle loro raccolte di pittura suoi ritratti importanti: Paolo Candiani ne aveva uno, in atteggiamento regale, opera di Cesare Tallone; Giuseppe Noferini un altro (qui riprodotto) che mostrava Margherita ancora principessa, dipinto con delicatezza ottocentesca da Michele Gordigiani.

Di quest'ultimo artista c'é invece un ritratto dal piglio rubensiano, con la sovrana in gran toilette, cappello e ventaglio piumati, trine morbide e immancabili giri di perle, alla mostra Margherita, regina d'arte e di cultura, aperta fino al 18 settembre a Bordighera. Curata da Annalisa Scarpa e Michelangelo Lupo che ragguagliano in un agile catalogo di Skira, la rassegna é allestita nella villa che la prima regina d'Italia, dopo essere rimasta vedova di Umberto I, si fece costruire in stile neorococò (architetto Luigi Broggi) nella località rivierasca, villa ora diventata sede quanto mai appropriata della preziosa raccolta d'arte dell'industriale Guido Angelo Terruzzi. É bello ripercorrere nelle luminose sale della dimora la vicenda di questa donna di indubbio fascino e di tanto carattere, dalle sue prime tenere letttere, fin incerte nella grafia, a maman che era poi Sua Altezza Reale Elisabetta di Sassonia, agli oggetti che commissionava per arredare le sue dimore foderate di damaschi e velluti e piene all'inverosimile di divani, seggiole e seggioline, paraventi, fioriere e specchiere e soprammobili in quantità. Nè mancano nella rassegna opere di pittura e scultura acquistate dalla sovrana: da segnalare almeno il gesso di Leonardo Bistolfi raffigurante un'algida figura muliebre (Reginae Italicorum preces) e Affetti, dipinto che Balla replicò dal pannello centrale di un trittico invano richiesto dalla regina della quale sono presenti pure innumerevoli, eloquenti ritratti.

Una mostra che cerca di far emergere la complessa personalità di questa donna che certo amava il lusso e lo sfarzo, ma anche, al contrario del burbero consorte, le arti, in particolare la musica da camera e la letteratura (ben nota la simpatia che sempre le manifestò Carducci, repubblicano e massone). Una mostra che di sicuro sarebbe piaciuta a Margherita che avrebbe anche apprezzato tutto quanto é stato compiuto per far tornare la "sua" dimora al prestigio di quando lei l'abitava.

Un po' meno entusiasta rimarrebbe l'augusta sovrana affacciandosi ora dal terrazzo sopra la villa: quel panorama che incantò anche Monet e che si vedeva ai suoi giorni e quel profumo del mare che saliva fino alla collina fiorita si sono persi per sempre, sopraffatti dalle tante esteriorità, rutilanti e chiassose, dell'attuale

Giuseppina Cima Pirovano col figlio FeliceGiuseppina Cima Pirovano col
figlio Felice

turismo balneare.

Anche a leggere l'elegante volume Storia di una famiglia. Vicende domestiche e imprenditoriali dei Cima nel contesto metallurgico lecchese s'incontrano figure femminili di forte spessore e di ferme decisioni. Frutto della accanita ricerca di Francesco D'Alessio, questo volume, apprezzabile anche per il ricchissimo e ben scelto apparato illustrativo, celebra in modo non agiografico la saga di una famiglia originaria di Castione di Rancio che nel 1809 fondò la ditta Fratelli Cima specializzata nel lavorare e commerciare il ferro estratto dalla vicina Valsassina. D'Alessio non si limita ad approfondire l'evolversi e il diramarsi di questa "premiata fabbrica nazionale", tuttora attiva soprattutto nel ramo delle linee elettriche, ma delinea, in tono fin appassionato, le fulgide figure di alcuni membri di questa famiglia distintisi soprattutto nel periodo risorgimentale: don Pietro, acceso sostenitore della causa rivoluzionaria, il garibaldino Francesco caduto "vicino a Capua in battaglia" e Giuseppe che giovanissimo accorse nel 1848 a Venezia insorta contro gli austriaci e da loro sottoposta a un inaudito bombardamento e che poi si arruolò volontario nelle campagne del 1859 e 1860. Nel libro viene anche rilevato il profondo attaccamento per la loro città dei Cima, sempre in prima linea nella promozioni delle grandi opere tese a fare di Lecco un centro moderno e dotato di tutti i servizi: l'ospedale, la banca, il teatro, la società canottieri…

In questa famiglia dove non sono mancati sacerdoti, missionari, medici, intellettuali e fin un'attrice del cinema muto, Giannina Udina, sposa di Antonio Cima, il ruolo delle donne non è stato assolutamente secondario; talvolta anzi si é rivelato determinante per la sopravvivenza o lo sviluppo delle ferriere. Da Maria Combi, sposa nel 1809 di Bernardo Cima grazie ad un gaddiano "accoppiamento giudizioso" e da Giuseppina Pirovano, di una famiglia di ardenti patrioti, si arriva via via fino ai nostri giorni con Nelida Rainoldi, nata in Argentina, ma da genitori di Busto Arsizio andati nell'America del Sud al seguito di Enrico Dell'Acqua (occorrerà prima o poi scrivere la storia di tutte queste persone ardimentose oscurate dalla prorompente personalità del Principe Mercante) che in momenti difficili seppe usare la ragione per raddrizzare le sorti della ditta, e con la sua figliola Silvia, attuale presidente delle Ferriere Cima, energica e pur dolcissima. Dal 1809 la saga dei Cima continua.