Un'opera di BeccariaUn'opera di Beccaria

Bruno Beccaria e Daniela Nasoni. Autodidatta precoce, lui, appassionato di pittura fin dalla prima infanzia;  più  formata, lei: studi al liceo artistico e il diploma a Brera. Durante e dopo, esperienze numerose e differenti nel campo dell'illustrazione, così come nella divulgazione dell'arte nelle scuole, per i più piccoli. In comune hanno l'amicizia, da qualche tempo, il progetto di proseguire su una strada che oggi, a prima vista non li apparenta in modo evidente, se non forse nelle forme più difficili da afferrare della sensibilità. Saranno in mostra da sabato da Saporiti Arte, a Cairate, per una sorta di dialogo ravvicinato. Curatrice dell'incontro è Lara Treppiede, con lei parliamo di loro.

Lara, un incontro tutto da spiegare.
"Si incontrano due modi di interpretare le emozioni e il mistero. In Beccaria c'è la visione della natura, tradotta nelle forme meditate ma istintive del colore. E' un pittore emozionale, che sente in maniera ardente il rapporto con lo spazio naturale, gli elementi. L'eco di queste emozioni vive nella vivacità dei suoi lavori che non hanno bisogno di appigli come il dipingere dal vero, né di fotografie ma si basano sulle sensazioni. Daniela, invece, da qualche tempo si dedica al mistero del volto. Il volto femminile, soprattutto, in una ricerca della bellezza lasciata a metà quasi, per far riecheggiare nelle loro espressioni marcate, i fascino del dubbio e dell'incertezza".

Un'opera di Daniela NasoniUn'opera di Daniela Nasoni

Come arriva Beccaria a questo tipo di lavoro?
"Dopo alcuni anni di lavoro molto più accademico, con temi ed esecuzioni più dirette. E' stato più o meno una ventina di anni fa che ha capito che il suo percorso avrebbe dovuto indirizzarsi verso una espressività più libera, più affrancata. Che diventasse una sorta di festa danzante del colore; e nella natura, nel movimento, nel riverbero cromatico dell'erba, ad esempio, ha trovato una sorta di repertorio iconografico inesauribile".

E Daniela?
"La figurazione di Daniela si è caratterizzata nei cicli dedicate alla città, ad un linguaggio, quasi di illustrazione, da fumetto, ma con citazioni di pittura metafisica. Con i suoi ritratti ha cambiato registro, passando ad una figurazione più diretta, con l'intento di interpretare senza fronzoli, senza diaframmi una dimensione più intima della donna. Che non sono mai perfette, sono una risposta alle immagini mediatiche che falsano la bellezza, il fascino della donna, ma ne alterano la sincerità".

Nel tuo testo hai citato Pioggia nel pineto di D'Annunzio. Come mai?
"Il riferimento alla poesia nasce da Daniela, che ama collegare i suoi lavori a testi letterari, spesso anzi si ispira a liriche. Nel caso specifico, la poesia di D'Annunzio ha parole bellissime, che evocano in qualche modo le opere dei due artisti. Il lasciarsi cadere senza remore nella natura, un erotismo quasi panico, ma anche alcuni particolari specifici come le ciglia nere, così come Daniela le raffigura, i dialoghi muti che si instaurano con noi e i loro volti".