B. Suardi, Argo, Castello Sforzesco, 1491c.B. Suardi, Argo, Castello Sforzesco,
1491c.

L'affresco. Il maestoso affresco, situato sopra la porta che collega la sala del Tesoro ad un ambiente più piccolo, è riapparso nel 1893 sotto uno strato di intonaco. Benché l'immagine del personaggio sia acefala, la critica sembra concorde nel riconoscervi Argo, il leggendario guardiano mitologico. Con un audace utilizzo del sistema prospettico, l'artista sfonda la parete creando l'illusione di uno spazio di profondità infinita sulla cui soglia colloca il personaggio. Questi è situato all'interno di un complesso portale,realizzato con un duplice ordine di architravi a decorazione antiquaria in finto rilievo innestate su piedistalli molto aggettanti e quindi fortemente scorciati dal sotto in su. Questi piedistalli presentano sulla fronte due finti scudi che riportano episodi della vita di Argo tratti dalle Metamorfosi di Ovidio: Argo addormentato e Mercurio e Mercurio uccide Argo; ai lati si conservano, parzialmente visibili, due pavoni, ricollegabili alla versione greca del mito. Dopo la morte di Argo, Era avrebbe infatti deciso di ornare il piumaggio di questi uccelli, a lei sacri, con i "cento occhi" del suo guardiano. I piedistalli, infine, poggiano su due grandiose mensole; tra di esse, esattamente sopra la porticina, campeggia un tondo in monocromo con una figura che, seduta in trono, presiede all'apertura degli scrigni e alla pesatura dell'oro, mentre immediatamente sotto si legge l'iscrizione: Adulterinae abite claves, rielaborazione di un'espressione tratta dall'Ars amatoria di Ovidio. La presenza di tale motto, unitamente agli episodi narrativi scelti, rende non del tutto chiara la lettura iconografica.

Riscopriamo il mito.
Secondo il mito greco l'eroe, poiché dotato di un infinito numero di occhi, fu prescelto da Era come guardiano della ninfa Io, tramutata in giovenca.

B. Suardi, Argo, Castello SforzescoB. Suardi, Argo, Castello Sforzesco

L'evidenza data alla maestosa immagine di Argo sembrerebbe giustificata dalla sua mansione di guardiano, da mettere in relazione con la destinazione dell'ambiente in cui è stato realizzato l'affresco: la Sala del Tesoro infatti era stata concepita come un piccolo fortilizio, isolata e fortificata; avrebbe dovuto raccogliere le ricchezze della famiglia ducale, che nell'intenzione del committente sarebbero state sottoposte alla simbolica custodia del mitico guardiano.

La commissione e il dibattito attributivo.
Ricerche storiche sembrano confermare che nel 1493 la sala fosse già conclusa; entro quella data va quindi collocata l'esecuzione dell'affresco, che deve essere ricondotto alla commissione di Ludovico il Moro. Già alla fine del XV secolo però l'opera risultava scialbata: i lavori di rifacimento della copertura dell'ambiente causarono la perdita del volto di Argo, determinandone poi la copertura integrale.
Resta ancora molto discussa l'attribuzione dell'affresco: il dibattito si è focalizzato sui nomi di Bramante e di Bartolomeo Suardi, suo discepolo, comunemente noto come Bramantino. Determinante – in questa vicenda attributiva – è stata l'audace impaginazione prospettica dell'opera che per alcuni studiosi sembra perfettamente in linea con le ricerche di Bramante; ad altri invece pare più verosimile che riconduca a Bramantino la minore coerenza di tale impaginazione rispetto al perfetto rigore costruttivo ben percepibile negli Uomini d'arme conservati nella Pinacoteca di Brera. Per questo alcuni critici ritengono che l'opera si configuri come una collaborazione tra i due maestri: spetterebbe a Bramante la progettazione e a un giovane Bramantino la realizzazione delle parti figurative.