Ritratto di Ludovico il MoroRitratto di Ludovico il Moro

E fu così che Milano scoprì la seta – Corre l'anno 1442 e a Milano Filippo Maria Visconti invita a corte due setajoli, provenienti da Firenze e Genova. Ha inizio così la storia che stiamo per raccontare, in scena fino al 21 febbraio 2010 presso il Museo Poldi Pezzoli di Milano con la mostra "Seta Oro Cremisi – segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza". La mostra illustra la nascita e il rapido sviluppo dell'attività serica a Milano e la sua applicazione nelle arti suntuarie, frutto di uno studio – mai fino ad ora così completo ed esaustivo – dedicato ai tessuti auro-serici lombardi del XV secolo, promosso dall'ISAL (Istituto per la Storia dell'Arte Lombarda) e condotto in collaborazione con nove istituzioni europee. L'esposizione raccoglie circa 50 opere, tra raffinati velluti a disegno, damaschi e lampassi, broccati con oro e argento, ricami in seta con oro e perle, carte da gioco, preziosi codici miniati, oreficerie e dipinti, presentando al pubblico molti reperti tessili finora sconosciuti. Tra questi abbiamo scovato alcuni capolavori provenienti dalla provincia di Varese.

Il paliotto delle nozze – Il percorso espositivo si snoda attraverso quattro sezioni, individuate secondo le materie impiegate e la raffinatezza delle lavorazioni: l'araldica, le tinture, i decori e i ricami. Nella prima sezione, in posizione di rilievo, troviamo un capolavoro proveniente proprio dal Museo Baroffio e del Santuario del Sacro

Partic. Paliotto, Museo Baroffio del Sacro MontePartic. Paliotto, Museo Baroffio
del Sacro Monte

Monte di Varese: si tratta di un paliotto d'altare realizzato a Milano in occasione delle nozze tra Ludovico il Moro e Beatrice d'Este, avvenute nel 1491, e donato successivamente al Santuario di S. Maria del Monte, verso cui più volte si indirizzò la generosità degli Sforza. L'unione tra le due famiglie è segnalata dalle abbreviazioni che incorniciano gli stemmi degli Sforza e degli Este, ripetuti ben quindici vote e racchiusi entro girali di gelso, pianta rappresentativa del Moro (per l'allusione al nome latino del gelso, "morus"). Nella parte superiore una fascia decorativa di rara raffinatezza riproduce gli emblemi prediletti da Ludovico: il caduceo (il bastone di Mercurio) tra due draghi alternato alla scopetta. Questi simboli raffigurano le cosiddette "imprese", ovvero un emblema araldico, costituito da un'immagine e spesso accompagnato da un motto: l'impresa del caduceo presenta la scritta "ut iungor" (che io unisca), mentre l'impresa della scopetta è associata al motto "merito et tempore" (con il merito e con il tempo). La preziosità di questa opera risiede soprattutto nei materiali impiegati: velluto a tre colori, con ricami in oro e argento filati. Le ricerche condotte sulle tecniche di realizzazione dei tessuti hanno inoltre permesso di individuare il tipo di tintura naturale utilizzata: nel caso del paliotto di Varese il maggior pregio è da attribuire, infatti, dall'utilizzo di entrambi i tipi di tinte (estratte dalle cocciniglie essicate): rosso di cremisi e grana. 

Partic. Paliotto, Basilica Minore di S.G.Battista, Busto ArsizioPartic. Paliotto, Basilica
Minore di S.G.Battista,
Busto Arsizio

Caccia alle imprese – Andando alla ricerca di altri esempi di "imprese" lungo il percorso della mostra, troviamo nella sezione "tinture e decori" un'altra importante testimonianza che proviene dal nostro territorio, in particolare dalla Basilica di San Giovanni Battista di Busto Arsizio. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un paliotto d'altare, ma la particolarità di questo esemplare risiede nella rarità di un elemento decorativo individuabile nel velluto: si tratta, infatti, dell'impresa della "melacotogna", raffigurata con il frutto rivolto all'insù derivato dallo stemma di Muzio Attendolo, fondatore della dinastia degli Sforza. L'impresa fu utilizzata per la prima volta da Francesco Sforza, così che il velluto è da attribuire a maestranze attive a Milano prima del 1461 e, con una certa probabilità, nei primissimi anni del potere di Francesco, tra il 1441-1455. Ma la caccia alle imprese non finisce qui: un repertorio abbondante è quello di cui fa sfoggio Ludovico il Moro nel ritratto (collezione privata) attributo alla cerchia di Bernardino De' Conti, documentato a Milano tra il 1494 e il 1523: la sopravveste broccata in oro è un trionfo di imprese araldiche tra cui quelle "del freno", "della scopetta", e "della scure". Il ritratto, esposto al pubblico per la prima volta dal 1939, testimonia l'importanza del ruolo dei tessuti con disegni e colori personalizzati nell'abbigliamento dell'élite politica del tempo, con l'intento di comporre un monito per i sudditi e al contempo esaltare la produzione serica, fonte del benessere dello Stato.

Ritratto di damaBoltraffio, Ritratto di dama,
collezione Borromeo

Tessuti dipinti – Un altro ritratto presente in mostra proviene, invece, dalla Collezione Borromeo dell'Isola Bella (VB). Il dipinto in esame, "ritratto di dama in grigio" è un capolavoro della ritrattistica di Giovanni Antonio Boltraffio, da collocare allo scadere del Quattrocento e realizzato verosimilmente a Milano, poco prima che l'artista lasciasse temporaneamente la capitale del ducato, a causa dei disordini seguiti alla caduta del regime sforzesco. L'impianto del dipinto dichiara la sua palese derivazione dalla ritrattistica leonardesca, ma l'importanza in questo caso è data dal motivo decorativo sulla pettorina e sulla manica sinistra dell'abito: il simbolo dell'urna rimanda, infatti, ad una variante dello stemma della famiglia Pallavicini, una delle famiglie all'epoca più potenti del ducato. Questo elemento ha permesso di identificare la donna del ritratto come Isabella Borromeo, che nel 1490 risulta già sposata con Antonio Maria Pallavicini e che con questo simbolo vuole rivendicare l'appartenenza alla nuova casata.  

Le pailletes di una volta – Conclude la mostra la sezione dei "ricami" che costituisce il fiore all'occhiello della produzione milanese. La costante ricerca di preziosità è dimostrata dall'uso di pietre dure, smalti e perle e, nel caso specifico lombardo, dall'applicazione del magete, inizialmente concepito come un anellino metallico che proteggeva l'asola attraverso cui passavano le stringhe delle allacciature delle vesti. Dagli anni Ottanta aumenta la produzione di magete molto piccole, di fogge diverse – da quelle rotonde bombate alle forme più complesse – destinate alla decorazione dei ricami. Antenate delle future paillettes, decorano le edicole dei santi raffigurate sulla Pianeta di Busto Arsizio, una veste liturgica ampiamente decorata. Sul verso e sul recto la pianeta presenta una croce ricamata con formelle che contengono santi a figura intera entro nicchie sormontate da arco. Sul verso, al centro della croce, è raffigurata la crocifissione. La pianeta è stata collegata a una testimonianza del 1612 di Crespi Castoldi, nella quale si affermava che il duca Ludovico il Moro aveva donato alla chiesa di S. Giovanni Battista a Busto Arsizio una veste della duchessa Beatrice, nel primo anniversario della sua morte, nel 1498. Attualmente la datazione è stata anticipata al 1450-60, a causa della qualità disegnativa arcaica rispetto alla grande stagione sforzesca. Indubbiamente tutte le opere guidano lo spettatore in un'appassionante scoperta di opere d'arte, di tesori "di casa nostra" che raramente hanno l'occasione di essere esposti al pubblico e che, grazie a questa mostra, trovano il posto che gli compete come tasselli fondamentali nella costruzione della storia della tessitura in Lombardia.

Seta Oro Cremisi – segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza

fino al 21 febbraio 2010
Museo Poldi Pezzoli
via Manzoni 12, Milano
Orari: da mercoledì a lunedì, dalle 10 alle 18. Chiuso martedì.
Ingresso: intero 8 euro, ridotto 5,50 euro. bambini fino a 10 anni gratuito
Per visite guidate: 02 794889 – 02 796334
www.museopoldipezzoli.it