..……e ancora una volta, eccomi qui ad inseguire un fiume e le sue increspate storie.

Così come a Varanasi il Grange, l’Irrawaddy in Birmania, il Letaba in Sudafrica,  il Sine-Saloum in Senegal, il magro Giordano in Palestina, il Brahmaputra che attraversa inarrestabile lo sterminato altopiano tibetano, il Limpopo e lo Zambesi in Mozambico, il Nilo osservato dall’alto di un Boeing 737 tagliare l’immenso deserto sahariano… ma anche più modestamente, il Po, la Senna, il Tamigi, il Tevere, il Tago a Lisbona e persino il nostro minuscolo Torrente Sesia, tutti i fiumi hanno una storia da raccontare.

Mi trovo nel delta del Mekong, che comprende una area di quasi 40.000 km², come la Lombardia e il Veneto messi insieme, giusto per dare un’idea, riconosciuta riserva della biosfera dall’UNESCO.

Tra piante di mogano, tamarindi e frangipani, l’aria carica di umidità crea un’atmosfera di riflessi policromi e luci velate, intriganti, enigmatiche. 

In ogni casa  di ogni villaggio c’è un piccolo altare con doni e incensi. Pare che gli spiriti possano sentire il profumo di sandalo e cannella.

 

 

 

Questo fiume nato in Tibet, dalle pendici dell’Himalaya, attraversa buona parte del Sud-est asiatico, dividendosi in nove rami o nove Draghi, per terminare infine nel golfo della Cocincina (Nam Bo). Questo è il motivo per cui la regione è chiamata Cuu Long, Terra dei Nove Draghi.

Ognuno di noi ha un suo fiume, dicevamo, ogni fiume ha la sua storia.

La mia ha inizio, sulle rive del Ticino, tra la provincia di Varese e le risaie novaresi. Siamo nel 1945, in piena Seconda Guerra Mondiale. Sulla sponda piemontese, da tempo, si rifugiano i partigiani, protetti dalla boscaglia incolta, allora quasi impenetrabile.

Era il mio bisnonno Santino che guidava il camion, di proprietà di una drogheria per la quale lavorava. Con il pretesto di fare le consegne, nascondeva sacchi di riso, salumi e tutto ciò che trovava, per superare il confine lombardo e portarli ai combattenti.

Quel giorno però, l’unico ponte che permetteva di attraversare il corso d’acqua, era pattugliato dai Tedeschi.

Ovviamente Santino li aveva visti in lontananza, con l’occhio lungo di chi è sempre in missione, ma lo scopo del suo viaggio era troppo grande: i partigiani aspettavano quei viveri.

E stavano lottando anche per la SUA libertà.

Non esitò quindi a premere l’acceleratore, sperando di sfondare il posto di blocco.

I militari spararono senza pietà.

Un momento di buio. Poi sentì il sangue caldo colare da una caviglia. Un proiettile aveva attraversato la fragile portiera di lamiera e lo aveva colpito. Per fortuna di striscio. Ma ormai era fatta. Il fiume era superato.

Se si fosse fermato in quel momento, lo avrebbero purgato e costretto a parlare. Sarebbe stata la fine di tutti i suoi compagni.

Doveva proseguire: il nascondiglio segreto stava soltanto a due chilometri di sterrato da lì.

In quegli infiniti istanti pensava a sua figlia Irene, rimasta in città, che sotto al pancione nascondeva le munizioni rubate ai tedeschi. “Tanto, le donne incinte non le perquisiscono mai!” ripeteva soddisfatta. Era rimasta sola, perché il marito, per scampare all’esercito e quindi ad una morte certa, aveva dovuto andare a lavorare nelle fabbriche di armi in Germania e sarebbe tornato soltanto lunghi mesi dopo.

In quella pancia c’era mia zia e poi, qualche anno più tardi, ci sarebbe stata mia mamma.

Questa è proprio la MIA storia.

Sul fiume viaggia la paglia viaggia il marmo delle Cattedrali eterne viaggia il vino anfore, botti, sacchi di quarzite che andranno giù fino al mare a modellare il vetro di Murano. Immagino chiatte lente accarezzare l’acqua, discendere piene per poi risalire vuote, trainate dai cavalli lungo l’argine. Le vedo attraversare il tempo Medioevo, Rinascimento, fino a metà del secolo scorso. Il Ticino, come il Mekong e tutti gli altri fiumi, hanno visto le genti migrare le merci andare e venire i confini separare, le guerre fermare. Tutto_ Per poi, piano piano, ricominciare.

Giusto il tempo di catturare con gli occhi ancora qualche immagine del Vietnam e siamo di nuovo su di un aereo traballante che attraversa le grandi pianure dell’Asia, alla ricerca di nuove storie da raccontare. Ma questo fiume, oggi, mi ha ricordato la mia.

Isola di Tan Phong, Cái Bè, Vietnam.

 

 

Ivo Stelluti