Un momento della conferenzaUn momento della conferenza

Spiegazione incisiva – Serata interessante e arricchente quella proposta la sera dell'11 febbraio a Palazzo Leone da Perego. Per il ciclo "I giovedì del Museo" un'energica e spumeggiante Marina Castoldi ha parlato de "I giardini di Hera. Santuari e culti a Poseidonia". Un'ora di spiegazione letteralmente volata, in cui la docente in archeologia della Magna Grecia all'Università Statale di Milano, ha illustrato la grandeur della civiltà ellenica di VI secolo attraverso i santuari di Poseidonia, meglio conosciuta con il nome latino Paestum.

Poseidonia, Paiston, Paestum –
Comunque la si voglia chiamare, rimane sempre la grande città magno-greca fondata, nel VI secolo a.C., lungo la costa tirrenica della Campania, dai Sibariti, coloni greci. Da secoli conosciuta per i meravigliosi templi greci situati poco lontano dal mare e a una decina di km dal fiume Sele, La Castoldi ha spiegato così l'origine e l'evoluzione di Poseidonia: "Poseidonia, oggi conosciuta con il nome latino Paestum, fu una sottocolonia di Sibari (città fondata dai coloni greci, lungo la costa ionica della Calabria, alla fine dell'VIII secolo a.C.), dedicata al dio del mare Poseidone, che a metà del sesto secolo si dota di bei monumenti. Alla fine del V secolo è già territorio lucano: le bellicose genti sannitiche che se ne impossessano la

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circondano di mura e la chiamano Paiston. E' questo il periodo delle tombe a cassa, dipinte con affreschi, e munite di corredi funerari ricchi di armi: usi che collidono con le antiche pratiche greche. La città muta nuovamente il nome in Paestum, quando diviene colonia latina nel III secolo a.C., e l'aristocrazia guerriera lucana diviene la base per la costruzione dell'aristocrazia romana. Oggi Poseidonia è Paestum e il suo è uno dei parchi archeologici più belli d'Italia".

Cultura tout court al santuario – Del tessuto urbano greco, su cui gli antichi Romani costruirono le loro grandi opere, come il foro e l'anfiteatro, non sono rimasti che qualche traccia di fondamenta e gli alzati dei templi di Hera e di Atena: edifici che hanno suscitato un grande fascino già nei rampolli del Grand Tour settecentesco e sono tuttora meta del turismo italiano e internazionale. La grandezza della civiltà greca non si riduceva a questi templi, essi erano parte di santuari pieni di vita, come ha tenuto a precisare Marina Castoldi: "i santuari greci comprendevano, oltre ai templi delle divinità, altari maggiori e minori, sale per banchetti, statue e numerosi ambienti funzionali alla vita del santuario. Nel santuario non si pregava e basta, ma ci si teneva informati: ci si recava per sentire le ultime notizie, per ascoltare i poeti declamare le loro poesie, per danzare, per officiare sacrifici al ritmo di flauti e tamburi, al termine dei quali ci si cibava della carne delle vittime sacrificali, cotta alla griglia. Al santuario avveniva anche la raccolta di fiori e frutta: i bellissimi giardini, ricchi di una grande varietà di piante, erano meta di giovani donne in cerca d'amore. Per le fanciulle, abitualmente relegate nei ginecei delle case, la frequentazione dei giardini costituiva occasione d'incontro dell'uomo della propria vita. Insomma al santuario si svolgeva la vita culturale d'un tempo".

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Stile tipicamente magno-greco – Quanto una colonia sia dipendente o autonoma rispetto alla madre patria: è sempre questo il nerbo della questione per chi affronti lo studio dei rapporti culturali tra le parti in causa. In merito a questo l'analisi dei templi di Hera e di Atena a Poseidonia ha dato qualche risposta agli archeologi e agli studiosi di architettura. Osservando lo stile costruttivo degli edifici di culto è emerso che i coloni crearono uno stile dorico meno severo rispetto a quello presente in patria: fregi di palmette, girali e fiori di loto dalle cromie sgargianti addolcivano le architravi, così come decorazioni vegetali d'ogni genere impreziosivano gli echini dei capitelli del santuario di Hera. L'unione degli stili dorico e ionico in un unico tempio come quello di Atena, situato nel centro dell'antica Paestum, denotava un'ulteriore cambiamento che avrebbe avuto ripercussioni in patria: la felice commistione sarebbe stata canonizzata anche ad Atene nei Propilei e nel Partenone, ma solo in seguito, cioè nel V secolo. D'altra parte, la Grecia imponeva lo stile dorico severo alla sue colonie sud-italiche, celebre il caso del Tempio di Nettuno, molto simile a quello di Zeus ad Olimpia, "ma è interessante notare", ha sottolineato la Castoldi, "come fu Poseidonia a costruire tale tempio, precedendo le stesse città di Agrigento e Segesta dove ancora oggi si conservano templi del genere".

Al di qua del fiume Sele – Non solo templi urbani! La città di Paestum si dotò di Heraion anche nelle terre di confine, per creare delle cinture sacre destinate non solo a proteggere i territori attraverso il favore degli dei, ma anche a marcare una zona, a comunicare che al di qua del fiume Sele si masticavano lingua e cultura greca. Il grande santuario costruito in onore di Hera nelle zone paludose del Sele, oggi non più visibile, se non attraverso ricostruzioni archeologiche, ne è certamente la prova. Le campagne di scavo condotte sin dall'inizio del Novecento hanno riportato alla luce splendidi esemplari di metope, alcune parzialmente lavorate, altre reimpiegate in altri edifici, originariamente destinate al santuario di Hera che doveva essere un complesso molto articolato e inserito in una splendida cornice naturale. Quelle metope, oggi "parlanti" nel  Museo Narrante di Paestum (si illuminano e raccontano al visitatore la loro storia), comunicavano, attraverso le raffigurazione delle imprese eroiche di Eracle,  soprattutto alle genti barbariche collocate al di là del Sele, gli Etruschi, quali fossero il mondo, la legge, la cultura della grande Grecia e delle sue colonie. La stessa dedicazione del santuario ad Hera era altisonante: dea delle dee, protettrice degli infanti, delle spose, dei marinari, delle leggi e delle istituzioni greche. Non a caso, dunque, altri Heraion furono costruiti in altre zone di confine, come a Selinunte, città che si interfacciava con altri barbari: i Fenici.