Un dettaglio del gesso della Porta dell'InfernoUn dettaglio del gesso della Porta dell'Inferno

A tutte le mostre degne di questo nome è affidato – tra gli altri – il compito principale di suscitare confronto e dibattito critico. Di non fermarsi, in buona sostanza, alla bella kermesse, vernissage e finissage ma di lasciare un segno, generando confronti e botta-e-risposta tra studiosi e critici su riviste specializzate, pubblicazioni e, perchè no, in future mostre. E fin quì, l'uovo di Colombo. O forse no. Ma che cosa si può dire (di più) sull'opera di un mostro sacro della scultura mondiale come Rodin? Evidentemente ancora molto. Moltissimo, anzi. Senza dimenticare che ogni epoca deve definire che cosa le opere d'arte significhino nell'ambito della propria cultura e quale problema rappresentino nel quadro dei propri problemi.

Che cos'è la scultura moderna? Si chiedeva, nel titolo stesso, una delle più importanti mostre sull'argomento a Parigi ancora nel 1986. Ed è famosa la battuta di Barnett Newman secondo cui "la scultura è ciò contro cui si va a urtare quando si indietreggia per guardare un quadro da più distante".

Tirando giù dallo scaffale "Passaggi. Storia della scultura da Rodin alla Land Art" di Rosalind Krauss si trovano

Passaggi, R. KraussPassaggi, R. Krauss

interessanti spunti riguardo la modernità di Rodin, il trattamento del tempo e dello spazio narrativo nelle opere scultoree, capaci di rompere le certezze e di forzare i paletti fissi anche dei conoscitori di scultura più sofisticati. Scrive la Krauss: "In un certo senso la carriera di Rodin è completamente definita dai suoi sforzi intorno a un unico progetto, la Porta dell'Inferno, che iniziò nel 1880 e al quale lavorò fino alla morte – un progetto per il quale quasi tutta la sua scultura fu originariamente creata. E all'inizio Rodin adottò una concezione della Porta che si accordava con le convenzioni narrative del rilievo. I suoi primi abbozzi architettonici del progetto dividono il fronte della porta in otto pannelli separati, ciascuno dei quali avrebbe riportato rilievi narrativi che formavano una sequenza".

"Le grandi porte del Rinascimento, in particolare la Porta del Paradiso di Ghiberti per il battistero del duomo di Firenze, costituiscono il modello evidente di questa composizione. Ma, nel momento in cui Rodin finiva la terza maquette architettonica in terra cotta, diventò chiaro che il suo impulso tendeva ad arginare il flusso del tempo sequenziale. In questa maquette le divisioni che separano i pannelli sono quasi tutte eliminate, mentre una grande icona statica ha invaso il centro dello spazio drammatico. Composta da una barra orizzontale e da un tronco verticale, sormontata dalla massa verticale del Pensatore, questa immagine cruciforme ha come effetto di centrare e appiattire lo spazio della Porta, sottomettendo tutti i personaggi alla sua presenza astratta".

La Porta dell'Inferno - maquettePorta dell'Inferno – maquette

"Nella versione finale, la Porta dell'Inferno resiste a qualsiasi tentativo di leggerla come un racconto coerente. Della miriade di gruppi di personaggi, soltanto due sono direttamente legati alla storia originaria della Divina Commedia. Si tratta di Ugolino e i suoi figli e di Paolo e Francesca, che lottano entrambi per lo spazio nella metà inferiore del battente di sinistra. Anche la compartimentazione e la leggibilità delle due "scene" sono a loro volta compromesse dal fatto che la figura del figlio morente di Ugolino è il gemello del personaggio di Paolo. Questo principio della ripetizione appare anche sull'altro battente, dove, nell'angolo inferiore destro e accanto, a sinistra, a metà altezza, si può vedere lo stesso corpo maschile con le braccia alzate in un movimento di estrema tensione e che sostiene in entrambi i casi un corpo di donna. (…) Al sommo della Porta, Rodin ha fatto ancora una volta ricorso a questa strategia della ripetizione. Lì le Tre ombre rappresentano per tre volte lo stesso corpo: sono tre fusioni identiche che si aprono a raggiera dal centro di convergenza dei loro bracci di sinistra. (…) Invece che distribuirli secondo angoli che si oppongono con una nettezza deliberata come in Canova o Carpeaux, Rodin conferisce alle sue Ombre una sorta di rudezza ottusa e muta. E, per fare questo, quasi come un primitivo, pone sommariamente le tre teste allo stesso livello, o ancora situa ogni personaggio del gruppo in maniera strana e ripetitiva su tre piedistalli distinti ma identici. Le abili composizioni di Canova e di Carpeaux conducevano a una "trasparenza": partendo dall'aspetto esteriore delle figure, lo spettatore aveva la sensazione di accedere al senso interno dell'opera. Inversamente, l'apparente brutalità di Rodin dota le sue figure di una certa opacità. Le Ombre non formano tra loro nessun rapporto che paia suscettibile di avere un senso, di creare un segno trasparente alla sua comprensione. Anzi, al contrario, la ripetizione delle Ombre contribuisce a creare un segno totalmente autoreferenziale".