“La Dancalia, per chi attraversava il Corno d’Africa alla fine del ‘900, era ancora un mito. Non vi erano strade. Le mappe, approssimative. Circolavano storie terribili. Certo, conoscevi qualcuno che diceva di esserci stato ai tempi di una gioventù avventurosa. Sapevi che era un deserto, che c’erano i vulcani e le carovane del sale. E loro, gli Afar. […] Ma la Dancalia era la frontiera, l’ultima terra inesplorata. Il vuoto. Laggiù bisognava andare. [Andrea Semplici, Gli ultimi viaggiatori della Dancalia, APR&B Editore, 2012]

Spunta così, dal nulla, il bambino. Corre più veloce che può, inciampa a piedi nudi con le sue gambette secche, salta i sassi, ride, s’arrabbia, s’affanna per arrivare in tempo.
Ma quando alla fine raggiunge il ciglio della strada sterrata, la carovana delle nostre auto  se n’è già andata.

Non lo sentirò mai domandarmi a ripetizione qualcosa che non capisco, né pronunciare orgoglioso suo nome battendosi il petto gonfio. Lo posso soltanto scorgere dallo specchietto retrovisore mentre saluta all’infinito con la mano, grigio, nella polvere incolore del suo spazio spoglio, si confonde ormai con lo sfondo. Una manciata di istanti e si intravvede solo una macchiolina nell’immenso cocente della piana desertica del Dallol.
Immagino sia il suo gioco preferito: forse lo ripete tutte le volte che qualche fuori-strada s’avventura fin qui sfiorando quei bruscolini di capanne smarriti, al confine tra Etiopia ed Eritrea.

Corre incessante a perdifiato ma arriva sempre troppo tardi: la sua casupola infatti, dista qualche centinaio di metri dalla strada e gli uomini bianchi a bordo delle jeep, lui,  non li ha mai visti.

Ivo Stelluti – Il Viaggiator Curioso