Tra le cose dolci lasciate in eredità dalla mostra appena conclusa al Castello di Masnago, c'è questa performance che Arcangelo Ciaurro si appresta a realizzare per gli adolescenti della scuola Maria Ausiliatrice di Casbeno (guarda la ). Richiesta a gran voce dagli stessi bambini, incantati come altri visitatori un po' più grandicelli di fronte allo spettacolo arboreo offerto dalla mostra Lo spirito degli Alberi.

Ciaurro, nel suo studio, prepara i suoi cavalletti, i suoi strumenti da lavoro, la tela intonsa 90×90, i pennelli, le spugne, quella in ferro abrasiva, essenziale per le graffiature, i suoi colori industriali Sikkens, la vernice fissativa usata dagli imbianchini. "Ho chiesto ai produttori un piccolo contributo per la mia mostra – racconta – sono gli stessi che hanno sponsorizzato in parte i lavori di rifacimento della Scala di Milano. Ma non ne hanno voluto sapere di un pittore che usi il loro materiale". Incompreso.

Il tema dell'incomprensione, della solitudine, ma dell'orgoglio anche e della consapevolezza di aver mosso qualcosa è un filo rosso nella conversazione. Siamo a parlare di questo. Del bilancio di una mostra importante per un pittore fin qui silenzioso, appartato, "professionista da trent'anni", ci tiene a sottolineare, col giusto rilievo.

Allora, Arcangelo, mettiamo in fila i più e i meno, di questa esperienza. Le cose belle e quelle brutte. In molti ad esempio hanno storto il naso. Una mostra troppo lunga, si è detto.
"No, non troppo lunga. Tre mesi. Il giusto. Considerato che di mezzo c'era il Natale e che altre mostre, al castello di Masnago, hanno avuto una durata simile o superiore. E che non c'è stata nessuna attività promozionale per lanciarla. Solo a gennaio, per dire, grazie al passaparola, e allo striscione che ho messo a mie spese, la mostra ha trovato il passo giusto in termini di visitatori".

Tre mesi per una monografica per un artista locale sono comunque tanti, normalmente.
"Il problema è che ci può anche essere tecnicamente disinteresse nei confronti della mia pittura, questo lo metto in conto. Ma il progetto che ho presentato era ben più ampio ed articolato e verteva su un coinvolgimento più ampio, anche della città e per la città. La durata della mostra si giustifica anche per il numero degli appuntamenti, ben sette, che sono stati inseriti, nel contesto dell'esposizione. Tutti perfettamente riusciti, con un gran numero di persone a riempire la sala".

Continuamo con le note negative.
"La solitudine. Quello che abbiamo fatto, siamo riusciti a farlo io e la società cui mi sono appoggiato (la Delphi, ndr) per la condivisione del progetto e il piacere per la mia pittura. Quanto al Comune di Varese, devo ringraziare il personale del Museo, ma quanto a sostegno non posso dire di averne trovato molto".

Il bilanci della cultura, si sa, sono esangui.
Infatti la mia mostra è costata il riscaldamento, qualche lampadina sostituita, l'utilizzo del personale. Il catalogo l'abbiamo stampato a nostre spese. Gli ospiti sono venuti gratis. E parlo di ospiti, alcuni dei quali internazionali. Per amicizia e condivisione".

I dati: visitatori alla mostra 1825, presenze agli incontri 960. Totale 2785. Soddisfatto?
"Per me si tratta di un bilancio straordinario. Mi ripaga totalmente del mio lavoro. Ma non sono tanto i numeri. Quanto le emozioni che questa mostra è riuscita a suscitare.

Esempi?
"In un incontro per presentare un libro di Gaspare Morgione era stata invitata una professore di estetica russa che mi dice di non aver mai sentito vibrazioni così profonde come davanti ai miei quadri. Oppure diversi visitatori portati alle lacrime da certe mie opere. Genitori che mi hanno raccontato di essere stati trascinati a veder la mostra dai propri figli. Il ringraziamento sincero del personale dei musei:«Grazie per aver portato colore e gioia»".

Come si giustificano queste reazioni?
"Quando dipingo, non dipingo un albero o un bosco. Dipingo una mia emozione. Una mia disposizione. O appunto lo spirito degli alberi. E questo probabilmente è avvertito dal pubblico. L'emozione ritorna. E' il racconto affettivo nei confronti della natura, non impositivo. Non il dovere del rispetto, ma l'amore".

In sintesi: il pubblico ha capito, il Palazzo no?
"In un certo senso è così. Senza presunzione, quando sottoposi il mio progetto alla giunta Fumagalli, l'idea era di una mostra che dovesse mettere al centro uno dei fiori all'occhiello della città: la sua natura di città giardino, attenta al verde, curatrice della botanica. L'idea civile e nobile del giardino. Come cura dello spirito, fatto culturale. Che adesso è quanto meno dismessa. Questo il motivo intrinseco e della mostra e degli interventi, a cominciare da quello di Daniele Zanzi, agronomo di fama internazionale, o di Adriana Bonavia Giorgetti. Era un modo per parlare alla città e della città. Non credo che questo livello sia stato compreso dalle istituzioni".

Torniamo al concetto di solitudine?
"No, in questo caso, no. Credo possa essere altro. Penso alla mostra di Salvini, per la quale mi risulta essere stati spesi parecchi soldi, a differenza della mia, pur facendo solo qualche centinaia di visitatori in più ma rimanendo aperta quasi sei mesi. Anche in quel caso c'era l'opportunità di far parlare di Varese, della sua storia, del suo vissuto, farla conoscere. Non solo esportare il Museo, ma la città, aprirla al pubblico. Una mostra deve essere un fatto sociale, culturale in senso lato. Mi sembra non sia stato fatto molto".

Artisti ne sono passati al Castello? E galleristi?
"A parte i miei amici più stretti, che io sappia di artisti varesini nessuno. Galleristi neanche, tranne il mio".

Cosa farà Arcangelo Ciaurro adesso?
"Sono successe tante cose in questi mesi, che devono sedimentarsi, concretizzarsi. Proposte molto belle sull'onda dell'entusiasmo. Stiamo a vedere".

E per Varese cosa ti auguri?
"Aspetto di capire cosa succederà per Villa Mylius. Spero solo che gli amministratori non si facciano ingolosire e si buttino sul modello di Treviso, o di Brescia, o di Como. Anche Sgarbi l'ha detto recentemente. Trovare una via che vi diversifichi dagli altri, una vostra storia. Evitare le strade già battute. Ci vuole coraggio e fantasia, altrimenti sarà un flop".