Prologo

Una civiltà può essere chiamata tale soltanto a partire dall’invenzione della scrittura, cioè esiste, in sostanza, da quando decide di raccontare la propria Storia.
Sulle lapidi dei templi di Angkor Wat, in Cambogia, antica capitale del regno Khmer, ogni imperatore ha voluto che si scrivesse il resoconto delle vicende accadute durante il proprio regno, così da essere ricordato per l’eternità.
Una civiltà finisce quando viene distrutto il luogo dove è scritta la sua storia, come è accaduto per i Cham, il popolo di Mỹ Sơn, dove, nel marzo del 1968, gli americani bombardarono il sito archeologico risalente al IV sec. d.C. (l’epoca di S. Ambrogio…) sostenendo che in esso vi erano nascosti i Vietcong, che peraltro mai si sarebbero rifugiati in un luogo sacro perché ne conoscono il valore e ne avrebbero avuto grande rispetto. All’apice della sua espansione, nel 1100 d.C., la città di Angkor arrivò ad avere un milione di abitanti, in un periodo storico in cui Londra contava meno di 50.000 cittadini. Dai ritrovamenti è evidente che le conoscenze ingegneristiche ed in particolare idrauliche di questa popolazione superassero di gran lunga quelle dei contemporanei europei.

Ta Phrom

Il più “cinematografico” tra i templi della Cambogia, utilizzato, tra gli altri, come set di Lara Croft [Tomb Raider, 2001].

Sinistre rovine romantiche abbracciate lentamente dalle radici di ficus strangolatori e Tetrameles nudiflora. Tutto avvolto quasi stritolato in un incastro possessivo, indomabile, imprevedibile, forse eterno. Questo tempio ci ricorda che l’ambizione dell’uomo non può nulla contro la forza insaziabile della natura che si riprende sempre inesorabilmente il suo spazio e il suo tempo_

Bayon

126 enigmatici volti sapientemente scolpiti sembrano colmare un vuoto di secoli lontani. Gli occhi di pietra seguono sempre i tuoi passi, mentre cammini, voltandoti indietro spaesata, forse ti sorridono. Il viso di Jayavarman VII, ripetuto all’infinito su ogni guglia del tempio, confonde ogni direzione, portando con sé, beffardamente, l’eternità del suo indecifrabile mistero.

Banteay Srei

Elaborati rilievi dalle sfumature ancora colorate, eleganti intagli, fini incisioni e dettagli di arenaria rossa, nobili, preziosi, rari.

Il suo nome significa Fortezza delle donne ed è dedicato al dio indù Shiva. Noi lo diremmo quasi barocco nello stile ma è del 967 d.C. La più raffinata delle costruzioni dei Khmer era LA BIBLIOTECA.

Lolei

Di fianco al tempio di Lolei, sulla cima della collina, ci dicono che c’è un monastero. Ci avviciniamo. Alcuni bambini stanno costruendo un muro: si passano di mano in mano cantando le pietre ruvide, impastandole con il fango, quasi come un gioco. Un monaco più grande ci mostra le altre stanze già finite: la mensa, i dormitori, la scuola. Poi, orgogliosamente, dietro una tenda di stoffa intrecciata ci fa entrare nell’aula di informatica dotata di una decina di computer, completi di monitor, stampanti e un altro monaco, con gli occhiali, sta spiegando ad alcuni ragazzi come fare le somme in Excel.

Ankgor Wat

Il Paradiso. Il più vasto edificio religioso al mondo, rappresentazione terrena del Monte Meru, la dimora degli antichi dei dell’Olimpo induista con i suoi oceani misteriosi ai margini della Terra e la Grande Montagna al centro del suo Universo. Espressione massima del genio architettonico e della devozione umana di un popolo oggi completamente scomparso.
Se non avessero investito tutte quelle energie per costruirlo, quale memoria avremmo avuto dei Khmer?
Al culmine della scalinata un bassorilievo enorme mostra il mito cosmogonico, di tradizione induista, “dell’Oceano Latteo”, narrato nel Ramayana e nel Mahabharata, che racconta la battaglia degli Ashura e dei Deva (angeli e demoni), impegnati a tendere per la testa e per la coda, in un curioso tiro alla fune metaforico, il serpente Vasuki, avvolto a spirale attorno al monte Mandera. Si tratta della vetta centrale delle cinque del Monte Meru, asse dell’Universo nonché unico sperone di terra che emergeva dall’Oceano di Latte che si estendeva sull’intero globo terrestre, prima della Creazione. Questo moto vorticoso addensa il liquido, come il latte che si burrifica nell’operazione della zangolatura; l’oceano latteo quindi svela le creature che abitano nelle sue profondità dando forma al cosiddetto Mondo Reale. Terminato il combattimento, gli Ashura tornano ad abitare i cieli, mentre i Deva scendono ad occupare le viscere della terra.

Occorre seguire con gli occhi della mente le linee che, con rigore geometrico, portano al centro della figura (Bindu), restando in silenzio, con il respiro ritmato, per le ripide scale, contemplando la precisa proporzionalità che traccia con assoluta eleganza l’Armonia, l’equilibrio e il senso stesso dell’Universo.

Epilogo

…finché nel 1860 arrivarono in Europa i resoconti dell’esploratore francese Henri Mouhot, che narravano di una meravigliosa città fantasma, divorata dalla foresta e costruita in un tempo indefinito, da un stirpe di cui nessuno aveva più memoria.
Il segno più grande di una civiltà, di un re e quindi del suo impero, non sta certo nella quantità di ricchezza accumulata, nei tesori e nell’oro posseduto ma piuttosto in ciò che ha saputo realizzare per far scolpire il proprio nome all’interno della Storia stessa. Un palazzo, una città, un tempio o un sepolcro, qualsiasi manufatto che ne abbia tramandato la grandezza, il peculiare gusto estetico, la singolare capacità ingegneristica dei suoi collaboratori oppure la lungimiranza nell’attrarre alla sua corte i più grandi artisti, scultori, pittori, poeti e cantori dell’epoca che ne narrassero, attraverso le loro opere, le gesta e lo splendore del suo Tempo… quindi, in termini di Economia Gestionale, la grandezza si misura non in quanto un re ha guadagnato, ma in quanto ha speso.

Il viaggiator Curioso.
Cambogia, Ottobre 2015