La conferenza è stata l’occasione per parlare della mostra in corso al Castello di Masnago dove, attraverso il lavoro di cinque autori, la fotografia affronta il tema del paesaggio, tra passato e presente, suggerendo spunti di riflessione sulle dinamiche sociali dettate dal contesto di vita e di lavoro. Ne esce un mosaico di esperienze che dalle periferie giungono agli insediamenti industriali, mettendo al centro il tema della bellezza, spesso negata dalle circostanze.

Sono intervenuti gli artisti stessi, moderati dal fotografo Paolo Mazzo, autore di progetti fotografici a sfondo sociale o urbano, e dall’architetto e designer Jacopo Pavesi.

Per Vito Leone, presente con Periferie umane Taranto, i paesaggi intorno alla fabbrica, il soggetto della ricerca fotografica sono le aree adiacenti all’Ilva di Taranto Nei suoi scatti, ci sono i paesaggi urbani dei quartieri Tamburi, Paolo VI, Porta Napoli di Taranto, ma anche zone  industriali oggi abbandonate: L’occhio del fotografo, ‘vicino’ a questi ambienti, perché familiari, cerca di trasformare la bruttezza e la brutalità degli stessi in bellezza in un tentativo artistico di conferire dignità alla periferia industriale, alle aree suburbane vicine alla fabbrica. E’ un lavoro fotografico che corre su un doppio binario. Il primo, oggettivo, è quello delle linee e delle forme, del ‘senso geometrico’ del paesaggio, caro alla corrente minimalista; l’altro, soggettivo, è quello filtrato dall’occhio umano, che in quegli scorci vede, pur nella loro desolazione, umanità e dignità.

Lo studio di Vito Leone parte dal minimalismo degli anni ’70 e giunge al modo di fotografare i paesaggi urbani ed industriali che fu di Basilico, della scuola tedesca dei Becher. Un tipo di fotografia apparentemente fredda, a volte priva della presenza umana, di cui si percepisce solo il passaggio o la presenza, così come la “Fabbrica” è sempre presente in modo incombente anche se non si vede.

 

Attualissimo il lavoro di Michele Guyot Bourg: Genova, Ponte Morandi. Vivere sotto una cupa minaccia. Oggi questo corpus di immagini scattate alla fine degli anni ’80,primi ’90 rappresenta la memoria storica del vivere quotidiano delle persone residenti nel luogo in cui è accaduta la tragedia del Ponte Morandi. “Questo lavoro è nato per caso anche se era da tempo che cercavo un argomento per poter far “vedere” anziché “guardare” un aspetto poco noto della mia città: mi trovavo a Quezzi, quartiere periferico, quando un rumore, simile a tuoni in lontananza, ha attratto la mia attenzione: erano i giunti del ponte che avevo sopra la testa al passaggio dei mezzi. Da lì è nata l’idea di sviluppare una ricerca sulle persone che vivevano a ridosso dell’autostrada che cinge la città. Quattro anni di lavoro che mi hanno arricchito sia come fotografo ma più ancora come uomo”.

 

Con Cento case popolari Fabio Mantovani racconta dieci progetti di edilizia sociale d’autore realizzati tra gli anni ’50 e gli anni ’80  – Rozzol Melara a Trieste, Gallaratese a Milano, Forte Quezzi a Genova, Barca a Bologna, Corviale a Roma, Villaggio Matteotti a Terni, ZEN di Palermo, Le Vele di Scampia, il complesso Cielo Alto a Cervinia e il quartiere Spine Bianche a Matera. Il primo quartiere a essere realizzato dall’architetto De Carlo fu proprio quello di Matera per cui gli abitanti vennero tolti dai Sassi – chiamati da De Gasperi “vergogne d’Italia” – per essere trasferiti altrove. In quegli anni architetti famosi dell’epoca come De Carlo appunto, Aymonino, Gregotti, Rossi si dedicarono all’architettura sociale.

“Il progetto si snoda per 4 anni tra il 2012 e il 2016 e il mio obiettivo non è stato quello di giudicare in alcun modo ma di vedere come è andata, come questi quartieri si sono sviluppati. Io uso sempre il rapporto tra architettura e persona e quindi inserisco sempre nelle mie foto la figura umana per dare la scala: non ci sono protagonisti, ci sono relazioni a distanza . Il risultato è stato il libro Cento Case Popolari”.

La Milano Vintage rappresentata da Virgilio Carnisio, risalente agli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, è un viaggio a ritroso nel tempo, senza malinconie ma con approccio riflessivo, poiché i cambiamenti avvenuti sono stati notevoli e oggi le immagini dell’autore rappresentano un periodo storico particolarmente affascinante e nel contempo contrastante, tra sviluppo, benessere e rivendicazioni.

“Sono 62 anni che fotografo e sono contento del risultato che ho ottenuto perché ho lasciato il segno di cose che c’erano e che non ci sono più o si sono trasformate. I miei ricordi non sono solo personali ma identificano la memoria collettiva. E sono contento di aver fatto questo per Milano che è la mia città e che amo tanto”. Nel tempo Carnisio ha fatto un lavoro documentario impagabile scattando 50.000 fotografie delle vie della sua città preoccupandosi di immortalare le strade del centro e della periferia più a rischio cambiamento. Oggi 25.000 di quelle foto sono state donate all’A.F.I.

 

Espone anche una fotografa greca, Rea Papadopoulou con Dark Tree – Albero oscuro. Lungo le rive del fiume Kifissos di Atene, c’era un grande uliveto piantato nel VI secolo, che è stato conservato intatto fino al 1890, secondo la mappa disegnata dal cartografo tedesco Johann Kaupert. Il paesaggio cambia drammaticamente durante il XX secolo quando l’ubicazione dell’industria pesante nel XIX secolo pose fine a questo immenso giardino. Sono pochi gli insediamenti rimasti degli ultimi contadini, minuscole isole in un mare di enormi edifici industriali. Le erbacce urbane stanno invadendo il paesaggio e i vecchi alberi pare cerchino di uscire dalla terra. Ciò che Rea desidera è far emergere questa bellezza affiorante dalla ruvidità dell’ambiente industriale e dall’estrema periferia della città.

La metodologia che segue è discontinua, in quanto non desidera realizzare un una ricerca prettamente documentaria, ma interpretativa. Rea decide che il modo più consono per fotografare questi luoghi è la notte, dove le linee e l’orizzonte scompaiono, elevando frammenti e connessioni con il passato, richiamando ricordi e determinando incontri inaspettati.

 

In conclusione anche la premiazione Concorso Fotografico “Memorial Franco Pontiggia: cogli la gioia di vivere”. Doveroso un ricordo di questo illustre fotografo varesino che ha documentato i cambiamenti della città. Collaborò, inoltre, con numerose testate nazionali e ricevette numerosi riconoscimenti internazionali.

 

Cristina Pesaro

 

CASTELLO DI MASNAGO –Via Cola Di Rienzo, 42 – Varese

23 MARZO – 12 MAGGIO 2019

ABITARE IL PAESAGGIO

Orari di visita: da martedì a domenica : 9.30 / 12.30 e 14.00 / 18.00

Ingresso a pagamento a parte le giornate con conferenza

Chiuso 21 aprile s. pasqua e 1 maggio – aperti lunedì dell’angelo