Usciti dall’aeroporto Joseph a Nabil si sarebbero spinti fino al lungomare di Tel Aviv. Joseph avrebbe chiesto come andava in Italia, se la musica di Nabil era apprezzata, se quell’idea di mescolare ritmi del deserto con suoni occidentali lo aveva reso famoso anche lassù. Ma più di ogni altra cosa, a Joseph premeva sapere se in Italia avesse conosciuto una ragazza da sposare. “Ormai hai già un’età” – avrebbe sentenziato – “devi avere una persona accanto! Devi farti una famiglia, inshallah! I figli dei tuoi compagni di scuola vanno già loro stessi a scuola!” Ovviamente, il padre, della relazione di Nabil con Luca, lo studente di Filosofia di Firenze, non sapeva e non doveva sapere nulla.

“E Jasmine, te la ricordi? Ho parlato con suo padre, è un mio vecchio amico e uno dei capi della comunità… Sarebbe disponibile a fartela sposare anche subito! È una bella ragazza e cucina dei piatti meravigliosi!! Se torni al villaggio possiamo combinare le nozze! Sarà una grande festa e potrai suonare, danzeremo fino al mattino…”

Joseph custodiva tutto questo nel suo cuore, ormai con le lacrime agli occhi.

Erano già passate le 17:00.

Dall’aereo erano già scesi tutti. Tranne Nabil. Senza perdersi d’animo aveva anche chiesto ad una hostess, erano seguite ricerche al computer. Niente. Non risultava nessuno con quel cognome sull’aereo proveniente da Roma.

Chissà dove era finito, forse ci aveva ripensato, “siamo stati troppo insistenti: è sempre colpa di sua madre Fatima, con tutte quelle sdolcinature sulle e-mail, mi manchi, torna tra noi… Il popolo dei Palestinesi è fatto di uomini veri, pronti a battersi per la libertà. Riunioni, comitati, dibattiti, interviste: quello era il modo per attirare l’opinione pubblica internazionale al problema del loro popolo senza patria. Non certo farsi saltare in aria in un supermercato, nel nome di Allāh.

La sua organizzazione aveva bisogno di persone intelligenti, moderate, colte: ragazzi come Nabil, che conoscessero le tradizioni e allo stesso tempo padroneggiassero la tecnologia. Ma suo figlio no, Nabil pensava solo alla sua musica… della millenaria storia della sua gente sembrava non importargli nulla. L’unica frase di quella lettera, che gli aveva lasciato intendere una luce di speranza, era quando Nabil aveva scritto “…è con la musica e con la cultura che si possono cambiare le cose, è solo con la conoscenza e il confronto tra le reciproche tradizioni che popoli di diverse religioni possono imparare a convivere e a rispettare i propri spazi. Quando sarò pronto, tornerò per dare il mio contributo alla nostra causa.”

Joseph aveva creduto tanto in quelle parole, riponendo le sue ultime speranze nel figlio prediletto. Ma su quell’aereo lui non era salito. Ancora una volta lo aveva abbandonato.

Joseph ha la testa abbassata e il volto nascosto tra le dita nodose. Si sente toccare dolcemente la spalla… Si gira di scatto, alza gli occhi: “Nabil! Figlio mio!”  Lo abbraccia con tutta la forza che ha, ancora con le lacrime agli occhi. Ma il suo sguardo si ferma sul tabellone degli arrivi:

MILANO MALPENSA LANDED. “Ma come mai non mi hai detto…”

“Ho cambiato tragitto all’ultimo momento: non devono sapere che sono tornato”.

 

Ivo Stelluti, Il Viaggiator Curioso

Tel Aviv Airport, Israel,

27 aprile 2014.