Palazzo Pomarici, sede del MusmaPalazzo Pomarici, sede del Musma

Saremo tacciati di disfattismo però…Mentre a Varese da tempo si persevera con fastidiosi tira e molla sul costituendo museo Tavernari (per non dire di altre faticose, a dir poco, trattative, museo Bertoni, museo Guttuso, eccetera, eccetera, eccetera) a Matera, a metà mese si va ad inaugurare il Musma, il Museo della scultura contemporanea.

Dice, che c'entra con Varese? C'entra. Marginalmente, magari, ma c'entra. Intanto come dimostrazione di felicità culturale di una città che, dimessa nell'immaginario consueto, sta vivendo un orgoglioso risveglio e non dettato solo dall'indotto portato dal kolossal The Passion di Mel Gibson.

E in seconda analisi perché succede che in vista di quell'appuntamento (14 ottobre) un ottimo curatore, massimamente esperto di scultura del '900 come Giuseppe Appella, sia salito direttamente a Varese per scegliersi due opere proprio del nostro Vittorio Tavernari. Senza le quali – e non è una esagerazione ma così è scritto nella lettera ufficiale di richiesta – “non si può pensare una collezione di scultura contemporanea”.

E basta scorrere i nomi del lungo elenco di scultori per lo più scomparsi, ma con non rade eccezioni tra i viventi – Arnaldo Pomodoro, Nunzio, Uncini, Mattiacci, Legnaghi, tra gli altri – per rendersi conto, che tra il tufo di Matera andrà a svolgersi uno dei completi resoconti della avventura plastica del secolo scorso, nazionale e internazionale: Cascella, Consagra, Fazzini, Leoncillo, Melotti, Aleschinsky, Andre, Archipenko, Arp, Bill, Cavaliere, Cèsar, Chillida, Fontana, Kounellis, Lewit, Manzù, Marini, Martini, Mastroianni, Moore, Picasso, Richier, Medardo Rosso, Scarpitta, Viani, Wildt, Wotruba e via dicendo solo dei più illustri.

Le due opere scelte da Appella direttamente nell'archivio Tavernari sono due gessi degli anni Cinquanta, due torsi femminili poi entrambi poi fusi in bronzo e ora collocati in collezioni private; scelte, e i collezionisti di Tavernari lo sanno bene, perchè da anni le opere delle scultore, sono pressochè scomparse; ormai tutte chiuse nei forzieri delle collezionisti o di pochi privilegiati galleristi.

Che dire? Che altri due pezzi di storia del grande Vittorio Tavernari prendono, forse fortunatamente, la via di un approdo museale sicuro, certo, in qualche modo garantito da un progetto serio: anche in questo caso bastano i nomi a fare da fidejussione: oltre ad Appella, il comitato scientifico è composto da Pier Giovanni Castagnoli, direttore del Museo Civico d'arte moderna di Torino, da Fabrizio D'Amico, docente presso l'Università di Pisa, penna principe per le pagine dell'arte di Repubblica e responsabile dei Quaderni di Scultura Contemporanea; e ancora Michele D'Elia, già direttore dell'Istituto Centrale del Restauro e Direttore scientifico della Fondazione Zetema, di cui il Musma è una sorta di gemmazione e Rosalba Zuccaro, dell'Università La Sapienza di Roma. E come ciliegina sulla torta, il logo del museo è di Mario Cresci, tra i migliori fotografi italiani e assiduo frequentatore di Matera fin dagli anni Sessanta-Settanta, dai tempi delle sue indagini sulla realtà sociale di Tricarico.

Torniamo a Varese. Qui cosa succede? I punti fermi sono pochi. Al Castello di Masnago, dalla sua apertura c'è una sala con alcuni pezzi di Tavernari. A Barasso, comune dove il maestro ha avuto studio negli ultimi anni della sua vita, alcune sculture monumentali del ciclo degli Amanti, giacciono in comodato per lopiù invisibili al grande pubblico.

Da tempo è in atto una trattativa con Villa Recalcati per suggellare la possibilità che uno spazio idoneo del Chiostro di Voltorre possa venir dedicato ad ospitare in via permanente un piccolo ma decoroso museo dello scultore.

Una ipotesi che sembrava essersi instradata finalmente lungo un percorso di fattibilità con i buoni propositi di Enzo Lucenz e con una ufficiale proposta di donazione di alcune opere da parte della famiglia. La scomparsa improvvisa del direttore artistico del Chiostro a luglio e la sin qui mancanza di chiarezza sui piani e sulla struttura operativa di Voltorre manifestata dai piani alti della Provincia ha suggerito un nuovo stop alla trattativa.

Non si improvvisa un museo, per quanto piccolo, da un giorno all'altro, non si inventa una struttura senza le garanzie di durata e senza un progetto a lunga scadenza. Modalità che a Varese, almeno nelle dinamiche culturali sembrano la prassi costante. Finché mancano queste condizioni, crediamo, Vittorio Tavernari può ancora attendere.