Opera di Cerano, G.C.Procaccini, MorazzoneOpera di Cerano, G.C.Procaccini,
Morazzone

L'arte di casa nel Seicento – La basilica di San Giovanni gremita per l'incontro tenutosi ieri, mercoledì 30 settembre, dal prof. Pacciarotti, storico dell'arte ed esperto di storia locale, sulla pittura del Seicento a Busto Arsizio e nella Lombardia occidentale. La lezione si inserisce nel programma dedicato alla celebrazione dei 400 anni dalla ricostruzione dell'attuale basilica, avvenuta appunto a partire dal 1609 su progetto dell'architetto Francesco Maria Richini. Busto Arsizio si aggiudicò dunque una personalità di tutto rilievo che ricostruisse la basilica su volere di San Carlo Borromeo che nel 1583 trasferì a Busto Arsizio le dignità ecclesiastiche della pieve. Ma non solo in ambito architettonico appaiono nomi prestigiosi, bensì anche nella produzione pittorica commissionata dalle chiese della città e dintorni in quel particolare secolo che fu il Seicento. E' proprio la distinzioni in fasi differenti di quel periodo, il criterio adottato dal prof. Pacciarotti per illustrare le opere più significative presenti in città e sul territorio.

La fase dei Borromeo –
"Gli artisti proposti comprendono sia i protagonisti che i comprimari dello scenario pittorico seicentesco" ci tiene a sottolineare il professore. E se d'altra parte siamo tutti più o meno avvezzi a sentir parlare dei protagonisti della prima stagione del Seicento, ovvero quella più rigorosa e austera, quella per intenderci plasmata sui precetti dei due Borromeo, Carlo (morto nel 1584) e il cugino Federico (1595-1631), ci troviamo invece spiazzati di fronte ai nomi meno conosciuti che hanno lavorato sul territorio nella seconda fase, ovvero dopo la peste del 1630 e nell'ultimo periodo di pieno barocco. Inizia così la serie di immagini proiettate su grande schermo: si parte appunto dalle "star" di inizio secolo come Camillo Procaccini, bolognese, con una pittura impostata sui dettami pittorici emanati dal cardinale Paleotti. Con lui il fratello Giulio Cesare Procaccini, più influenzato da Rubens, Morazzone, il pittore dei sacri Monti, che trapianta da Roma un manierismo enfatico e moralistico, Cerano, il famoso pittore di San Carlo che realizza i quadroni in occasione della sua beatificazione e santificazione (1602-1610).

La chiesa di San GiovanniLa chiesa di San Giovanni

L'età di mezzo – A partire dal 1620-30 però alcuni artisti tentano di reagire a questa pittura così dirompente ed esasperata: Daniele Crespi, nato probabilmente a Busto Arsizio, che introduce toni più dimessi, di maggiore quotidianità e realismo e i Fiammenghini che operano in Valtellina e, al contrario,  accentuano la portata drammatica, ispirandosi alle incisioni d'oltralpe, per colpire nel vivo una regione a rischio di infiltrazioni protestanti. Tuttavia il linguaggio pittorico elaborato nella prima fase stenterà a spegnersi presto, come dimostra la Cappella di san Carlo, nella basilica bustese, ancora fedele all'iconografia del Cerano. Così anche gli artisti della generazione successiva si ispireranno ancora ai loro predecessori. Tra questi: Antonio Maria Crespi Castoldi che si rifà allo stile del Morazzone, e i fratelli Lampugnani di Legnano, autori della Pala di San Gregorio, che secondo Pacciarotti costituisce la prima opera entrata in basilica e dedicata a San Carlo.

Il tardo seicento e i nomi nuovi –
Dalla seconda metà del secolo compaiono i primi segnali di un nuovo slancio. Ci addentriamo così nell'ambito di artisti pressoché sconosciuti ai più e affiorati dall'oblio grazie agli studi portati avanti negli ultimi anni. E' così che conosciamo l'opera del pittore gallaratese Carlo Cane e di Claudio Feria, a cui è stata attribuita la pala di San Sabino nella cappella delle Reliquie (post 1649). Ipotizzata dal Pacciarotti anche l'esistenza di una probabile bottega a capo dei due dove si sarebbero formate le maestranze impiegate in città e nei comuni limitrofi. Il distacco definitivo dai modelli precedenti è ben visibile nei quadroni appesi nella navata centrale della Basilica di San Giovanni: qui troviamo autori come il Mazzolino che declina Daniele Crespi ma in tono molto più elegante e sfumato, Carlo Preda che combina la forza ritrattistica lombarda con il colore ricco di impronta genovese. Nello splendido episodio di Erodiade l'attenzione cade tutta sullo splendore degli abiti, conferendo alla scena un tono totalmente profano e leggero, ormai privo di dramma. Nella stessa direzione muovono Salvatore Bianchi e il figlio Francesco Maria Bianchi, ormai rivolti a un barocchetto dai toni setati. Non senza rimpianti vengono, infine, ricordati gli antichi dipinti esterni del Mortorio adiacente alla Basilica: realizzati negli ultimi decenni del secolo, costituivano l'esempio di un repertorio variegato comprendente le età dell'uomo, i vari aspetti della morte, virtù, purgatorio e angeli piangenti. Si concludeva così il Seicento dai toni cupi e austeri e si apriva la nuova stagione del Settecento.