“Hai messo il sale nella pasta?”

“No, non ancora… Mia nonna diceva che va aggiunto soltanto quando l’acqua bolle.” Osservo quei granuli d’un bianco lucente nel barattolo trasparente sullo scaffale. Sorvolo con gli occhi la tavola apparecchiata, ricolma di cibo e atterro all’estremo confine nord dell’Etiopia: la Dancalia.

Non riesco a togliermi dalla mente quella Piana di Sale, arida ed inospitale, cicatrice scoperta della crosta terrestre, genesi geologica che rimpasta le forme e restituisce fascino asimmetrico. Minerali, maestri dell’astratto, unici abitanti muti di in un paesaggio così rarefatto che non riesci ad afferrarlo nemmeno con il grandangolo della macchina fotografica: esiste soltanto incrostato nella tua memoria, Non se ne va via.

Il lago acido è vivo, ribolle, gorgoglia, un inferno affascinante e terrificante nel medesimo istante. Un “end time place” oppure un paradiso invivibile e caustico dove bellezza e crudeltà si confondono tra i vapori?

Il vulcano questa volta ci ha davvero fatto paura. Sprigionava un rosso arrugginito, mefistofelico, spietato, già da parecchie centinaia di metri, lungo il sentiero che sale in vetta. Non abbiano scherzato con l’Erta Ale, il cratere di lava viva. Una notte di fatica per raggiungerlo a piedi, giusto un’occhiata e poi via, lontano dai fumi  che tolgono il respiro, che sciolgono l’esistente.

Non ho capito se la Dancalia è la fine di tutto o il suo inizio.

Se fosse il capolinea del mondo vivente il nostro pianeta rimarrebbe così, QUASIVUOTO senz’acqua né voci. Senza luce e con pochi atomi di carbonio sparsi, disgregati tra loro. Ogni creatura tornerebbe ad essere primitiva, si dissolverebbe, alla fine, nella polvere scura e tutte le conquiste degli ultimi millenni rimarrebbero – inutilmente – abbandonate _ La nostra civiltà finirebbe inghiottita  in una spaccatura buia e fumosa dall’insopportabile odore di zolfo.

Ma a me piace pensare che questa terra singolare sia invece, un INIZIO.

Un lento rigenerarsi di vita che parte da vapori e formazioni cristalline, in cui le molecole provano a combinarsi tra loro fino a trovare la formula giusta per costituire le prime cellule, che in un batter di milioni di anni son subito microorganismi ed è poi un’esplosione di Natura in un susseguirsi di mutamenti per trovare la via dell’evoluzione… animali e piante s’adattano ai loro vicini, creando un SISTEMA, reagendo al clima, interagendo in una regolarità solo in apparenza casuale che non siamo ancora oggi stati in grado di decifrare. 

Tutto cambia, si modifica, evolve per arrivare a quell’ominide il cui femore s’incastra al punto esatto da suggerirci che aveva già imparato a camminare in posizione eretta. Per riuscire a vedere più in la dei cespugli bassi della savana dove abitava. In sostanza per guardare oltre. Ed è finalmente l’UOMO, l’essere vivente che impara velocemente, che sa usare le mani. Poi, il resto della storia lo conoscete bene.

È proprio nella Dancalia, in quest’ambiente così ostile, che vedo il luogo del rinascimento dell’umanità: l’essere umano infatti, avendo già fatto tutto il percorso una volta, solo qui può comprendere finalmente che non deve più ripetere gli stessi errori. Rispettare la natura, farsi bastare quello che si ha, affinché la Natura stessa reagisca in maniera positiva alle sollecitazioni dell’uomo e garantisca a TUTTE le specie viventi la sopravvivenza. Non solo noi ma anche gli altri.

Sì, credo che la Dancalia rappresenti un nuovo inizio, la nostra seconda possibilità.

Ahmed Ela, Etiopia

Ivo Stelluti