Sobrio, tecnologico, efficiente. Cosi, per  l'architetto Darko Pandakovic, sarà la carta d'identità della nuova Gam che tra le molte attese sta sorgendo in via de Magri a Gallarate. Con un occhio alla sua dignità di robusta preesistenza industriale che ne fa una sorta di sorellina minore della Fondazione Arnaldo Pomodoro, e alcune soluzioni già collaudate da Renzo Piano per la Fondazione Klee di Berna che pongono il museo gallaratese, naturalmente, pronto ad accettare le sfide dei nuovi parametri qualitativi.

L'architetto Darko PandakovicL'architetto Darko Pandakovic

E' preciso, questo elegante architetto di impronta mitteleuropea, nativo di Zagabria, con il tono e la cadenza di voce un triestino, nel definire, durante la commissione cultura appositamente convocata e in visita al cantiere in progress,  i compiti, i ruoli e i doveri della nuova struttura. Così come quelli dell'architetto, contrario com'è alla prosopopea eroica del gesto, quanto piuttosto a captare "l'energia in movimento", le idee culturali che sono radicate in una comunità e che rimangono impresse.

Una di queste è la convinzione, che il piccolo parco prospiciente alla Gam, un'oasi  verde, in un contesto urbano sofferente, tra campo nomade, cimitero, area mercato e palazzi di recente e incombente costruzione, possa fare da pronao al museo stesso, un invito a fermarsi, ancor prima di entrarvi. Un'idea sostiene qualcuno che già era stata promossa anni fa da Silvio Zanella. La prova, sostiene Pandakovic, delle sue convinzioni sull'energia circolante, sull'umiltà delle idee che non hanno mai un solo padrone.

Ultimo pianoUltimo piano

Dunque: luce, trasparenza, dinamismi di prospettive, ampie vetrate, ambienti che si parlano tra di loro, senza muri divisori. Un unico organismo parlante dove non ci possa sentire soli, minacciati, intimoriti. Questo sarà il nuovo museo. In cui si sarà accolti dall'ampia esedra, si accederà per prima cosa dal bar, dal punto informativo e dall'ampio bookshop. Già da questo livello, il visitatore avrà la possibilità di vederci dentro e prendere le misure: la grande sala conferenze da 100 posti, la blbioteca, gli uffici.

E sopra questa articolazione di spazi a vista, rimandendo nel corpo di fabbrica moderno, la fine del percorso espositivo: una splendida soluzione architettonica di vasta spazialità e altezza per consentire la massima espressione alle dimensioni del contemporaneo. Questo è il primo sguardo, un primo biglietto da visita.

Un carrello a ponteUn carrello a ponte

Ma ancora più impressionanti rimangono tuttavia gli spazi che si vanno recuperando nel corpo di fabbrica preesistente. Su cui l'architetto e la direttrice Emma Zanella hanno fatto la precisa scelta conservare i carrelli a ponte, emblemi di movimentazioni industriali che diventeranno simboli di identità espositivi e veri e propri elementi visivi di scansioni dello spazio, come avviene appunto nella bellissima Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano.

Da questee enormi navate, trafitte oggi da lame di luce, sono state ricavate diversi livelli grazie allo studio di piani ammezzati per la collocazione dell'esposizione permanente, per i quali sono stati previsti particolari silos espositivi a pannelli scorrevoli, per gli approfondimenti e una soluzione illuminotecnica per i piani superiori, recepita dall'architetto dallo studio portato avanti da Piano per le ondulate soluzioni apportate a Berna per la Fondazione Klee.

La commissione con Emma ZanellaLa commissione con Emma Zanella

Luce diffusa, zenitale, naturale, a scendere dalle capriate che si convertirà, senza traumi in quella artificiale, lasciando tranquilli lo staff su quello è che uno dei maggiori problemi di allestimento di un museo. Anche gli altri problemi sono brillantemente risolti: i depositi, indipendenti, dotati di un ingresso ampio e autonomo e capienti; l'ampio locale per la didattica, nell'attuale Gam svolta fuori sede per cronici motivi di spazio; il montacarichi per la movimentazione delle opere.

Ha forse un problema il nuovo museo: il contesto urbano, cui si faceva riferimento. Oggettivamente non bello, eccettuato la bellezza dolente del cimitero, al di là della via. Un contesto cui fa da legante solo la disarmonia, o duchampianemente l'ironia di avere un non piccolo gabbiotto di cessi pubblici, esattamente a ridosso dei muri esterni della futura galleria. 

Problemi o sfide, a dire il vero, secondo l'architetto. "Il Museo non deve essere una torre d'avorio" è tra i suoi credo. La sfida è la conversione e la riqualificazione dell'area, mirando magari a target di persone diverso. Una sfida tra dentro e fuori, una estrema correlazione sull'idea stessa di contemporaneo che rappresenta il museo e il nodo urbano che lo ospita". Ed è un pensiero che accomuna fortunatamente l'architetto, Emma Zanella e Raimondo Fassa.