Giuseppe ToscaniGiuseppe Toscani

La deportazione Giuseppe Toscani nasce a Milano nel 1924, dove frequenta la scuola di ragioneria "P.Verri". A 18 anni viene chiamato a fare il servizio militare dal reparto fanteria di Milano che poco dopo lo trasferisce a Tortona. Qui la sua esistenza subisce una drastica svolta: l'8 settembre 1942, alle quattro del mattino, le truppe tedesche assediano la caserma, per deportare i soldati a Meppen in Germania. "Pensa…Tra le migliaia di persone trasportate sulle carrozze del bestiame ho riconosciuto un uomo di Castronno: faceva il falegname, ma non ne ricordo più il nome. La mia fortuna", dice Peppino, "è stata quella di non essere finito a lavorare in miniera, ma in una fabbrica metalmeccanica. Abbiamo patito tanta di quella fame che, riuscire a mangiare anche solo bucce di patate, ci sembrava un sogno". Sono le parole toccanti di un uomo che ha subito la tragedia della deportazione e la stupidità di un'epoca. Ma in quel brutto frangente l'arte già giocava la sua parte e in un certo senso il suo ruolo di salvezza: "appena potevo, disegnavo", dichiara Toscani, "disegnavo soprattutto le alte ciminiere, quello che vedevo ogni giorno, ma di quei disegni purtroppo non è rimasto più nulla. Tutto si è perso nel bombardamento americano della fabbrica tedesca, quando gli Americani ci hanno liberati!".

"Il disegno mi ha salvato" – Tornato alla quotidianità della sua Milano, era pronto ad intraprendere una nuova vita e a rispondere alla domanda che si poneva ogni giorno nel campo di concentramento: "cosa farò fuori di qui?". Fu la madre, più che lui, a scegliere per il figlio la carriera in banca. Ma quanto rimpianto e amarezza si leggono negli occhi di Toscani che, oggi, con il senno di poi dichiara:" se avessi fatto Brera! Lavorare al Banco di Roma era una cosa triste, anche se mi ha fatto mangiare, ma senza farmi vedere disegnavo anche quando ero al telefono. E poi scarabocchiavo e dipingevo la sera, e appena avevo due minuti liberi, con un collega andavo a vedere le mostre nelle gallerie di Milano. Il disegno mi ha salvato!".

'Il treno''Il treno'

I modelli – L'amore per matita, carboncino, china e quanto altro germoglia in Toscani già all'età di dieci anni, "quando", afferma divertito, "ero la disperazione di mia mamma, perché tornato da scuola, neanche mangiavo per vedere le illustrazioni di Mandrake, Gordon e Tarzan: avevo un'autentica passione per la terza pagina del Corriere della Sera". Da allora non si è mai separato da disegno e pittura. Si è formato da solo, prendendo a modello gli artisti che rivoluzionarono l'arte tra Ottocento e inizi Novecento, spaziò da Mosè Bianchi, Pompeo Mariani, Alberto Pasini, Emilio Praga , Francesco Paolo Michetti, Silvestro Lega, Giuseppe Polizza da Volpedo a Grubicy, Cézanne, Daumier, Rouault, Maccari, Ensor e molti altri ancora, senza mai farsene troppo influenzare, filtrando, invece, interpretando e piegando gli stili di quegli artisti ai suoi messaggi, al suo modo di vedere la realtà.

Lontano dalle luci della ribalta
– Uno sguardo vigile, attento ai mutamenti della società e dell'arte, quello di Peppino che, pur lontano dalle luci della ribalta, sin dai tempi del dopoguerra quando si trasferì a Castronno – dove tuttora vive – nei mitici anni Cinquanta ha conosciuto al Bar Jamaica a Brera gli artisti dell'Informale e frequentato nel 1948-49 l'Accademia d'arte "Cimabue" assieme a Guerreschi, di cui conserva un carissimo ricordo. Lontano fisicamente ma vicino artisticamente alle esperienze milanesi, e mai succube, nonostante ciò, di virtuosismi formali che annullano il contenuto, il significato, il messaggio delle sue opere. La sua produzione è attraversata da una sapienza tecnica e contenutistica alta, che Peppino però non ha mai voluto ostentare, preferendo rimanere ai margini delle grandi traiettorie dell'arte. Chissà chi sarebbe diventato, se avesse frequentato Brera e se avesse avuto il coraggio di affrontare a viso aperto il duro mondo dell'arte?

'Paesaggio''Paesaggio'

Segno guizzante – Nel segno rapido e guizzante ci sono la struttura artistica e la vita di Toscani e delle sue figure. Peppino non descrive, piuttosto coglie i momenti e l'essenza delle cose, il loro carattere, con tratti appena accennati, eppure sufficienti a far emergere la particolarità di una persona o la bellezza di un paesaggio, quasi come se, abbandonandosi a futili dettagli, sfuggisse il senso d'amore nato in lui per l'oggetto e quella voglia di vivere, di osservare, di leggere la realtà quotidiana. Lo stesso colore velato degli acquarelli, quello rapido degli acrilici o sfumato dei pastelli sono a loro volta segni funzionali al disegno: le cromie celano, sottolineano, mettono in ombra o illuminano, creano o negano i volumi, per raccontare della visione a volte satirica a volte sofferta a volte giocosa del mondo e delle persone sconvolte dagli avvenimenti o sorrette dalla gioia, sempre con una profonda fiducia nell'uomo. Una fiducia che Toscani ha dimostrato tanti anni fa nei suoi stessi allievi nei castronnesi Renato Bonardi e Pietro Scampini, artisti eredi di una grande peculiarità del maestro: il segno. Il segno che entrambi hanno cercato e trovato, ed è prova della loro arte e della loro vita.