Fabbrica delle favole, 2006Fabbrica delle favole, 2006

Verifica – Ci sono artisti che sono in continua verifica pubblica, in perenne esibizioni di sé e del proprio lavoro. Picasso e Guttuso, dipingevano tranquillamente le proprie opere davanti al via via di ospiti che affollavano i loro studi. "Dalì – ricorda Giancarlo Ossola – dipingeva sul palcoscenico. Per la maggior parte, la mostra invece è l'unico luogo reale della verifica con gli altri, con il pubblico".
Settanta due anni, uno sterminato album di mostre personali e collettive non hanno tolto al pittore al pittore nato a Milano, ma frequentatore da sempre del Varesotto la premura, il gusto, la necessità anche di verificarsi, di collaudare i nuovi lavori, alla luce di altre generazioni, di altri gusti e di altre mode.

La pittura, scelta di vita – Lui in ogni caso, la sua scelta, al di là delle mode, l'ha fatta da sempre e quella l'ha sta portando avanti fedelmente in polemica appena accennata con le diversioni dell'arte contemporanea.
"La pittura, certo. La pittura che è fatta di pennelli, colori e un supporto. E' così da sempre, da centinaia di anni, la religione ha vissuto di racconti pittorici. l'antichità si è basata su questo. La pittura è sempre stata in grado di raccontare, di farsi carico di parlare della realtà. In un piccolo quadro di Chardin si può vedere il mondo".

Giancarlo OssolaGiancarlo Ossola

Dalla civiltà contadina alle fabbriche – Le motivazioni di Ossola affondano nella sua giovinezza quando  frequentava Castel Cabiaglio e partecipava della vita contadina dei luoghi, di cui rifaceva già figure e mestieri. Poi arriva la maturità: "Arrivai a concentrarmi su due temi complementari: gli interni di fabbrica e le città" – continua l'artista, "gli interni come bozzoli per viverci, in cui gli oggetti si caricassero di valenze psichiche, tra claustrofobia e claustrofilia. Gli esterni, le architetture, erano invece più legate, ad un discorso generazionale, legati ad un certo clima di quegli anni".
Un esterno che è come un paesaggio afono, fatto di cieli bassi, tonalità cupe. Senza troppi ottimismi.

Pittura è pittura – Poi l'interrogazione di Ossola si è concentrata interamente sulla stanza, sull'atelier che è a tutti gli effetti una interrogazione sui simboli della pittura: "Gli atelier, le stanze non sono che oggetti, parlano di attrezzi del mestiere, di cavalletti, tele, barattoli, pennelli. Lo specifico della pittura che adesso viene sconvolta, in un modo per cui non riesco a non essere polemico".

Crisi dell'arte – Il discorso di Ossola sembra conservatore ma si allarga in realtà a discutere i temi della modernità: "Quando cadde Roma, l'arte si è era imbastardita, ma in qualche modo ci fu un azzeramento. Adesso c'è una tale e tanta produzione artistica o pseudooartistica ipertrofica. Credo ci dovrebbe essere una pausa, una stasi. Lo statuto della pittura è venuto meno anche da parte di molti artisti che l'hanno ibridata con altre tecniche".

Qualcosa protesta – Eppure la pittura resiste, Ossola e non solo lui, vogliono essere la prova vivente. Magari senza certezze, o con molte certezze in meno, ma è sempre una ricerca di punti di riferimento. Come negli ultimi lavori, esposti a Maccagno, al Parisi Valle. "Non sono più sereni questi lavori, ma forse c'è una componente più metafisica, forse maggiore sintesi, sicuramente qualcosa che bolle e che protesta".