La terza e ultima parte del racconto del viaggio in Nepal e Tibet riporta un piccolo racconto dal titolo “Le mie montagne”. Buona lettura!

Miracolo d’alba ancora incontaminata. Assenza di esistenza. “Le montagne dove non arrivano le nuvole non sono da conquistare: sono da amare” dice lo sherpa di quella cordata. Probabilmente fu lui a mettere il primo piede sulla cima dell’Everest. Tutto il peso sulle spalle, tutta la fatica. Ma non importa. È sufficiente scontornarle con gli occhi, anche se da lontano. Queste cime: le più grandi.

l nepalesi la chiamano Sagaramāthā, “Dio del cielo”, la pregano perché riconoscono in lei la Grande Madre, una divinità gentile e bellissima. Il suo colore è arancio splendente.

Prima di partire per la spedizione, gli sherpa fanno una Puja con preghiere, offerte, mantra, canti sacri. “la montagna è per sua stessa natura sede del divino. Bisogna averne rispetto.” Stento a crederci quando mi dicono che dietro quell’altopiano lo sguardo spazia addirittura fino all’Afghanistan. Sarà l’ossigeno più rarefatto che fa girare la testa: ma quel giorno mi sono sentito libero, molto libero.

Stamattina, in Italia, alla radio, qualcuno con un tempismo perfetto ha mandato in onda “Waiting on a sunny day” di Bruce Springsteen. Stamattina, dal cavalcavia dell’autostrada per Milano si vedono le nostre piccole montagne.

Il racconto parla di Tenzing Norgay, lo Sherpa che accompagnò lo scalatore neozelandese Edmund Hillary in cima all’Everest il 29 maggio 1953. Stando alle dichiarazioni successive di Tenzing, divenuto celebre in patria e nel mondo, il neozelandese giunse qualche minuto dopo perché in quel momento lo sherpa stava battendo la traccia. Come ben sa chi va in montagna, non hanno senso le polemiche spesso create dai giornalisti riguardo a “chi arriva prima” in vetta. Il merito è di chi ha tracciato una via dove nessun altro aveva mai osato andare.

Buon viaggio anche a voi, viaggiatori curiosi!

Ivo Stelluti,

Il Viaggiator Curioso