M. Ceretti, Figura probabile, (autoritratto), 2006M. Ceretti, Figura probabile,
(autoritratto), 2006

Una pittura che non indietreggia davanti alle frammentazioni, alle contraddizioni, alle mille soluzioni di continuità del cuore e della mente umani. Le sue sono figure anonime, senza volto, con identità sfuggenti e poco definite.
Mino Ceretti è nato a Milano nel 1930; nel 1955 ha partecipato alla Quadriennale di Roma. Con Romagnoni e Guerreschi è stato uno dei fondatori del "Realismo Esistenziale", movimento che lo ha reso noto anche all'estero.

La pittura di Ceretti, caratterizzata da un linguaggio scarno,
da colori intensi e drammatici, da piani e oggetti che sembrano frantumarsi, si presenta come una prosecuzione linguistica del Realismo, in cui ad essere analizzata è la formazione stessa dell'immagine. Nelle sue opere, tutto è lacerato. E persino la citazione cubista è citazione non tanto di un testo quanto di un procedimento. Demolizione di un ordine e provvisoria ristrutturazione. "Ritratto probabile", "Figura probabile", "Pietra" sono i titoli di alcune opere in cui la messa in discussione è totale, l'interrogativo sulla pittura e sul suo senso è radicale. Il dubbio diventa ambizione di discernimento, di selezione, di scavo mentale per raggiungere il nocciolo dell'arte.

L'arte di Mino Ceretti pare non voglia risposte o ricette giuste a tutti i costi.
 Piuttosto sembra nata per mettere in crisi (nel bellissimo e profondo senso etimologico della parola che vuol dire 'scelta'). E che un dipinto ci induca a porci certe domande senza imporci con eccessiva

M. Ceretti, Figura-bersaglio, 1968M. Ceretti, Figura-bersaglio, 1968

evidenza alcuna risposta è una ottima cosa. Forse è la funzione essenziale della vera pittura, questa.

In un bellissimo testo del '76, Tadini scriveva:
"Se si guarda un certo numero di quadri di Mino Ceretti e poi ci si chiede: "Qual'è la prima, e la più forte impressione che ho avuto? Che cosa mi ricordo, soprattutto, di questi quadri che ho visto?", credo che quasi tutti risponderemmo: "Mi ricordo qualcosa che va in pezzi!" E questa impressione mi sembra fondata. Naturalmente ci sono altre cose, altre figure, nei quadri di Mino Ceretti. Ma questo tipo di immagine è molto frequente e di grande rilevanza). In quel modo visibile messo insieme da un gruppo di quadri di Ceretti si mostrano – prima di tutto – cose che si rompono, che si spaccano. Si mostra l'atto dell'andare in pezzi. Qual'è la causa che produce questo andare in pezzi? È una causa esterna o una causa interna? Voglio dire: Ceretti rappresenta qualcosa come una forza naturale, una specie di ciclone simbolico, così violento da mandare in pezzi il mondo e la visione – oppure Ceretti rappresenta un disfarsi delle cose causato da un venir meno, al loro interno, della forza che le teneva insieme? E tutto questo che cos'è – una specie di allegoria? (…) Un quadro di Ceretti rappresenta anche, e forse soprattutto, la capacità che è nella pittura e in noi, (stavo per dire: la forza che è nella pittura e in noi) di guardare questo sfacelo. Non soltanto di sentirlo oscuramente o di

Un'altra opera di CerettiUn'altra opera di Ceretti

parlarne con qualche fatua chiarezza. Dico proprio di guardarlo, di contemplarlo. Allora, se nel dipinto noi possiamo guardarla, quella catastrofe, vuol dire per un momento – anche solo per un attimo – noi possiamo tirarcene fuori, e starne fuori. (Che cos'è – qualcosa come la temutissima "evasione"?

Evasione, evadere. . . Un termine accusatorio pesantissimo, quando veniva appioppato a un libro o a un quadro. Vi ricordate? Ma un termine anche un po' ridicolo. Basta pensare che il meritorio contrario avrebbe dovuto essere uno "stare dentro" – che vuole anche dire "stare in prigione"). Questa estraneità momentanea – che prima di tutto fonda lo spazio in cui può prodursi lo sguardo – mi sembra, nei quadri di Ceretti, stabilirsi anche come condizione primaria di qualcosa come uno scampo, una salvezza. Scampo, salvezza, certo: ma tali da consentire di… Di "superare" qualcosa? Di fare, di fabbricare – o di immaginare – qualcosa che assomigli a una totalità, a una unita? Di conoscere al di là di ogni illusione l'oscurità e il disordine? Di consentire a una plastica fedeltà della nostra mente e delle nostre sensazioni a un mondo che si dà nel momento stesso e soltanto nel momento in cui va a pezzi e infinitamente si distrugge? Mi rendo conto del fatto che ognuna di queste proporzioni interrogative è rozza e limitata – e oltre a tutto tende forse a caricare la pittura di Ceretti di un peso didascalico e moraleggiante che può essere fastidioso. Ma può darsi che prendendole tutte insieme, queste proposizioni – chè si confondano un po', e vadano un po' sul vago – esse possano avvicinarci a qualche senso. Che naturalmente non conviene specificare più oltre".