Uccisione di san Tommaso Becket, Graz Museo JoanneumUccisione di san Tommaso Becket, Graz
Museo Joanneum

di Sergio Pesce

Uno dei primi esempi di costruzione spaziale offerti da Michael Pacher, ci viene dato da questa portella inserita nell’altare dedicato a san Tommaso un tempo a Novacella. La tavola si inserisce cronologicamente, alla fine degli anni cinquanta del Quattrocento. La scena mostra un fatto realmente avvenuto nella Cattedrale di Canterbury nel 1170. Durante gli uffici divini, quattro cavalieri per ordine di Enrico II assassinarono Tommaso sotto gli occhi dei fedeli. L’impostazione spaziale del dipinto, ad una prima visione, risulta essere una logica presa di coscienza delle tecniche di rappresentazione spaziale italiana. Ma ad una analisi più approfondita ci si accorge di come tale tecnica sia stata profondamente cambiata, tanto da far emergere caratteri di stampo fiammingo che Pacher deve aver visto nell’altare di Hans Multscher a Vipiteno, concluso proprio in quegli anni.

Ci accorgiamo della presenza di due punti focali. Il rigore italiano di un unico fuoco posto al centro del dipinto e ancora la particolare tecnica mantegnesca del punto di fuga ribassato non intervengono ancora nella dialettica del nostro autore. L’originalità dell’artista pusterese non va ricercata nella cieca accettazione della definizione di prospettiva; ecco perché analizzando attentamente la posizione delle due convergenze possiamo capirne

Ricostruzione della spazialità del dipintoRicostruzione della spazialità del dipinto

l’ingegno.

Il punto -a- nasce prolungando le linee di fuga della pavimentazione e quelle del piano superiore dell’altare posto in primo piano a destra della composizione. Il secondo punto -b- si ricava dalla fuga prospettica della parete di destra. A questo punto risulterà chiara la posizione delle convergenze, che si trovano entrambe sul corpo dell’aguzzino che sta sferrando il colpo mortale al Santo, in ginocchio sul lato di destra. La prima di queste si trova sul braccio -a-, la seconda proprio sopra la mano che sta impugnando la spada -b-. L’autore vuole che inconsciamente l’occhio dello spettatore venga indirizzato verso questi due punti che originano il movimento della scena, riconoscendo nella spada l’unica vera linea di fuga visibile, che giunge al punto di piegamento dell’assassino.

Possiamo considerare queste modificazioni spaziali utili a far funzionare il programma in rapporto al significato dell’opera e alla narrazione contenuta. Lo spazio quindi è vissuto in funzione alla scena da rappresentare (Sergio Pesce, La prospettiva in Michael Pacher, Roma 2011).
Dopo queste considerazioni mi sembra plausibile pensare che l’autore realizzasse al tempo stesso sia l’ambiente che le figure.
Il carattere fiammingo compare qui soprattutto nella fisionomica dei personaggi che mostrano un volto scarno e leggermente allungato. Interessante inoltre il movimento che compie uno di questi, sulla destra: sposta il capo per vedere la scena altrimenti coperta da uno spettatore. Impostazione grafica che Pacher deve aver visto nel grande altare di Hans Multscher a Vipiteno terminato proprio nel 1458.