Lo studio di Margherita Martinelli è nel cuore dello storico quartiere Isola a Milano, che se pur mutilato, in anni recenti del suo edificio simbolo, la Stecca degli artigiani, quale conseguenza di dissennato clientelismo immobiliare, riserva ancora distintivi tratti architettonici ed è animato, se pur con flessioni fisiologiche, da valori di umana quotidianità.

L'appuntamento per l'intervista è fissato per le 15,30.
L'accordo è di comunicare telefonicamente il nostro arrivo poiché, trasferitasi da poco nel nuovo studio, il suo nome non compare sul citofono.

Margherita ci spiega come pur trasferendosi a Milano, non ha lasciato il suo studio di Crema, sua città natale e che la recente scelta è dovuta alla necessità di avere contatti diretti con la vita culturale e gli ambienti artistici milanesi.

Uno delle caratteristiche costanti della sua pittura è la

 colatura dei colori.
"Prima delle colature, la mia pittura era più rigorosa e formale, dopo di che ho sentito la necessità di liberarmi di alcuni schemi e modelli che mi ero costruita. Concepivo la costruzione del quadro affidandomi a un modello centrale, sino a che ho deciso di rivoluzionare tutto, quindi, la colatura con i colori liberi e fluidi non è stato frutto di improvvisazione, ma un modo per uscire da quegli schemi che mi ero costruita".

Come spiega la necessità di inserire nelle sue opere parole e numeri?
"Non è una necessità decorativa o estetica, ma è un punto di partenza. Prima di operare direttamente sulla tela, scrivo, poi dal testo estrapolo delle parole e su quelle inizio il lavoro; può sembrare qualcosa di aggiunto o una decorazione, al contrario, la parola presente sulla tela, a volte può diventare anche il titolo dell'opera, o una sorta di chiave di lettura".

In alcuni suoi lavori è costante la presenza di fenicotteri, libellule, barche di carta, abiti.
"Una mia necessità è cercare simboli attraverso i quali esprimermi, come dicevo, il mio lavoro sulla tela inizia dalla parola ed è la parola ad indicarmi a quali simboli affidarmi.
Ad esempio, il significato dell'abito è legato alla presenza umana e al suo vissuto, le libellule e i fenicotteri sono legati al tema del migrare, ora come si può vedere nelle ultime opere, mi sono liberata da queste impostazioni simboliche".

A proposito di migrazioni, lei a sua vota ha compiuto una migrazione vivendo per un certo periodo a Tokio.
"Sento il viaggio come una necessità indispensabile per poi ritornare a lavorare in studio.

Tokio è stato il mio primo viaggio ed è stato il regalo dei miei genitori per la laurea all'Accademia di Brera.
In quel periodo avevo un amico a Tokio e ho deciso di andarlo a trovare, in quell'occasione ho vissuto l'opportunità di vedere i suoi lavori all'interno dell'Accademia di quella città. Sono rimasta affascinata dalle loro tradizioni dal rispetto e dal rigore con il quale si rapportano anche nei confronti della pittura, tant'è che in seguito sono ritornata più volte. 

Come regola generale mi piace l'idea di allontanarmi, acquisire
 stimoli e riportarli in studio, penso sia importante e fondamentale per il mio lavoro e per dare un respiro differente a quello che poi si dipinge".

Azzardo ai suoi lavori un accostamento musicale: Palo

 Conte e Fabio Concato.
Sorride. "Li conosco, ma non abbastanza per capire che tipo di relazione ci possa essere con i miei lavori, certamente sono due personaggi legati alla parola, quindi questo potrebbe essere un punto in comune, sarà comunque mia premura ascoltarli attentamente, non è esclusoche mi diano nuovi stimoli".

In passato, in numerose opere, ha raffigurato scarpe rosse da donna, come ben sa sono diventate un preciso simbolo sociale e forse anche politico. Ritiene fondamentale che un artista si impegni socialmente?
"Faccio fatica ad esprimere il mio parere sia politico che sociale, forse perché le mie opere partono da un punto di vista intimo e fiabesco, il riferimento è alla fiaba di Cenerentola, alle scarpette rosse di Doroty, sono sicuramente legate al mondo della fiaba, anche se mi rendo perfettamente conto che le scarpe rosse possono avere un richiamo molto forte, accattivante e sicuramente seducente".

Alle sue opere lei da titoli precisi, quasi delle autoanalisi concentrate: indossami, calzami, annusami, volami, tagliami.
"Detti così (afferma divertita) mi fanno impressione, chiaramente ogni artista lavora su se stesso continuando a mettersi in discussione, per poi aprire varie tematiche e differenti interpretazioni. Non riuscirei a dipingere qualcosa di estraneo al mio mondo interiore. I miei titoli sono messaggi precisi, a volte sono anche desideri, se si confrontano i titoli di alcuni anni fa con quelli di adesso, si capisce che il punto di interesse si è mosso".

Margherita Martinelli nasce a Crema nel1981, dopo essersi laureata all'Accademia di Brera con la massima onorificenza prosegue la sua formazione artistica a Tokyo dove sperimenta e approfondisce le tecniche tradizionali della pittura giapponese. 

Dal 2005 al 2007 è stata Tutor del corso di Plastica Ornamentale e Scultura presso l'Accademia di Brera, tenuto dallo scultore Guido Lodigiani. 

Recenti esposizioni in Italia si sono tenute presso la Galleria Palmieri a Busto Arsizio, la Galleria Federico Rui Arte Contemporanea a Milano, la Galleria Ghiggini a Varese. All'estero presso la Barsky Gallery di New York e la Galerie Kallenbach di Coblenza.