Non solo tecnici e teste pensanti, ma anche giovani artisti. Ormai all’estero ci vanno un po’ tutti perché per affermarsi è spesso necessario varcare le frontiere.

Marco Casentini è uno di questi. Da poco rientrato a Milano con la famiglia (moglie e due figli) si presta ad una veloce intervista per raccontare la sua esperienza di artista con la valigia in mano.

‘Sono nato a La Spezia’ inizia ‘e ben presto i miei genitori sono emigrati in Svizzera, ma per le regole sull’immigrazione non ho potuto vivere là in maniera continuativa. Gli anni della gioventù li ho quindi trascorsi fra Losanna, La Spezia e Carrara, dove frequentavo l’Accademia. Con puntate in Lombardia dove risiedono molti parenti. Non a caso la mia pittura è improntata al frammento. Nei miei quadri raramente si trova al centro una figura o una costruzione: tutto è come se fosse visto da un finestrino, strano no? Comunque, nell’88 ho preso residenza per diversi anni a Busto (dove ho anche esposto alla Fondazione Bandera). E’ stata la prima residenza in Italia che poi, col matrimonio, ho spostato a Milano’. A Busto mantengo ancora forti legami e vanto alcuni fra i miei primi collezionisti.


La maggior parte delle tue mostre sono state tenute all’estero…

‘Espongo molto in America, in Germania ed in altri paesi europei. In Italia ho un buon rapporto con la Galleria Colussa di Udine che mi ha anche allestito una mostra al Museo di Nova Gorica. Ho vissuto per alcuni anni a Los Angeles ed ho rapporti continuativi di lavoro con gallerie di San Francisco, Los Angeles, San Diego, Chicago ed Albuquerque, nel Nuovo Messico. In questa zona c’è molta attenzione per gli artisti, indipendentemente dalla loro notorietà. C’è un rispetto sia umano che professionale che non trova paragoni in Italia. Anche la gestione delle gallerie è molto professionale e niente è lasciato al caso. Nessun gallerista compera le opere in blocco come succede nel nostro paese. Inoltre negli USA le gallerie commerciano solo gli artisti che rappresentano, difficilmente altri. Pur con qualche variante, la stessa situazione l’ho trovata in Germania’.

 

Quale tipo di arte va negli States?
‘Gli artisti americani amano molto sperimentare. C’è una attenzione verso i materiali che noi non possiamo nemmeno immaginare. A volte ci si sofferma ad analizzare un’opera solo per capire com’è stata fatta. Del resto, il supporto è un elemento indispensabile per realizzare nel migliore dei modi la propria espressività. Prima di abbandonare gli States ho partecipato ad una collettiva al Museo di Tucson realizzata con dipinti su metalli. Mi sono così trovato in compagnia di artisti celebri come Rauschenberg, Mirò, Jim Dine, Wesselmann, Calder. Questo per dire l’attenzione che c’è sui materiali. I giovani trovano molta attenzione e, lavorando con gallerie che hanno una struttura aziendale, hanno più occasioni per affermarsi. Non vanno però dietro alle mode come da noi, ma producono il tipo di arte che a loro interessa, indipendentemente dal registro. Insomma, mi sembra che nella piramide dell’arte all’estero gli artisti siano in cima, in Italia alla base. Inoltre negli USA le gallerie espongono e commerciano gli artisti che rappresentano, difficilmente altri fuori dal loro giro. In Italia anche nelle gallerie d’arte contemporanea, spesso vedi transitare opere del Novecento o anche più indietro’.


Com’è considerata l’arte italiana?

In questo momento l’arte più avanzata come ricerca la si trova, fatta qualche rara eccezione, sulla West Coast. New York è più una propaggine dell’arte europea. Dell’arte italiana conoscono poco, giusto i grandi maestri. Io sto parlando della situazione in California, New Messico, Illinois, le realtà che conosco meglio.

Se hai un dipinto di Morandi a New York lo vendi, a Los Angeles pochi sanno chi sia. Lo stesso Burri, in Italia ti dicono che è conosciutissimo. Lui è vissuto a Los Angeles, ma ti assicuro che lo conoscono in pochissimi, solo qualche artista informato e qualche gallerista che ha delle opere grafiche. Insomma, quello che per noi è scontato e storicizzato, In California è poco o per niente conosciuto.

Il nome di un artista americano che meriterebbe di essere conosciuto molto di più in Europa?

Richard Diebenkorn. E’ un grandissimo.


Che programmi hai per il prossimo futuro?

Ho contatti con un importante museo italiano, ma in questo momento sto lavorando attorno ad otto quadri neri dedicati alla tragedia di Beslan, dove sono morti più di duecento bambini. E’ impressionante come la struttura delle finestre della scuola ricordi i miei quadri! Poi mi trasferirò negli USA per una mostra a San Francisco.

Per l’autunno si sta portando avanti anche un progetto nel carcere di San Vittore, ma siamo ancora alla fase embrionale.