POMPEI – Napoli – 100 a.C.

La “Battaglia di Isso” è un mosaico romano di notevoli dimensioni, quasi sei metri per tre, composto da circa un milione e mezzo di tessere, conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’opera fu rinvenuta nel 1831 durante gli scavi di Pompei, nella pavimentazione della famosissima casa del Fauno. La scena ritratta rappresenta lo scontro vinto da Alessandro Magno, a sinistra della composizione, contro Dario III di Persia, raffigurato a destra. Si tratta probabilmente una copia del dipinto greco del pittore Filosseno di Eretria.

L’immagine di Alessandro è una delle sue iconografie più note. Nella corazza del condottiero è rappresentata una Medusa con i capelli ondulati, con il tipico aspetto ritratto nell’arte greca del IV secolo a.C..
Dario invece è rappresentato su di un carro. Dall’espressione sembra essere preoccupato, quasi spaventato: dà l’idea di voler fuggire dalla situazione.

L’opera è di un realismo sconcertante. Nel cavallo centrale, visto da dietro, si nota addirittura l’uso dell’ombreggiatura per trasmettere un senso di massa e volume, che contribuisce ad aumentare l’effetto naturalistico della raffigurazione, tecnica non indifferente considerata l’epoca e il fatto che si tratta di un mosaico.

Nella scena, evidentemente concitata, spiccano dettagli di incredibile posa cinematografica, come il cavallo caduto morente e il soldato persiano in primo piano che guarda la sua immagine in agonia, riflessa da uno scudo.
Lance che s’intersecano, affollamento di corpi, zoccoli scalpitanti, tensione, rapidità: tutto evoca il frastuono, l’angoscia e lo smarrimento tipico della guerra.

INDIA – Tamil Nadu – VII sec. d.C.

All’interno della grotta di Mahishamardini, sulla collina sacra di Mamallapuram è conservato uno stupefacente bassorilievo raffigurante la dea Durga, Madre Divina, armata di arco e frecce, accompagnata da una schiera di Gana e Yoginī, nell’attimo prima di uccidere Mahisha, l’enorme demone con la testa di bufalo, che indietreggia dal centro della scena ormai senza speranza.

La dea Durga, una delle 108 manifestazioni della divinità Parvati, assume in sé i poteri di Brahma, Vishnu e Maheswara [una forma di Shiva] per combattere 9 giorni ininterrottamente. Il decimo giorno arriva la vittoria definitiva sulle forze del male.
I devoti spesso si rivolgono alla dea compiendo cerimonie e sacrifici per avere buona sorte, successo e speranza.
Anche quest’immagine racconta con innumerevoli particolari il caos insensato della guerra, nonostante si tratti di un combattimento che ha lo scopo di sconfiggere il maligno.
Nella composizione si può scorgere addirittura un corpo calpestato dal pesante piede del demone, oltre a volti, lame, braccia, nell’intreccio scomposto e concitato tipico della battaglia. Forse un monito che ha il significato di indurre gli uomini a vivere in pace, lasciando alle forze soprannaturali atrocità e scontri.

 

 

PENISOLA IBERICA – 1937 d.C.

Ora veniamo alla modernità. Pablo Picasso dipinge la sua tela più famosa nel 1937, raffigurando, come è noto, il bombardamento della cittadina basca di Guernica, ad opera dell’armata aerea tedesca ma più in generale la descrizione è incentrata proprio sull’orrore della guerra.
Come spesso accade agli artisti, essi hanno la capacità, grazie alla loro particolare sensibilità, di anticipare gli avvenimenti storici. La Seconda Guerra Mondiale infatti, già nell’aria, scoppierà soltanto due anni più tardi.
Violenza, sofferenza e angoscia sono leggibili esplicitamente osservando, ad esempio, sulla sinistra del dipinto, la madre che grida al cielo disperata, con il figlio in grembo ormai senza vita. Quest’immagine viene controbilanciata graficamente da un’altra figura apparentemente femminile a destra, che alza le braccia al cielo. In basso nel dipinto c’è un cadavere che ha una stigma sulla mano sinistra come simbolo di innocenza, in contrasto con la crudeltà nazi-fascista e stringe nella mano destra una spada spezzata, da cui spunta un pallido fiore, quasi a voler reclamare la speranza di un futuro. La gamma dei colori è limitata; vengono, infatti, utilizzati esclusivamente toni grigi, neri e bianchi, in modo da rappresentare l’assenza di vita. L’alto senso tragico scaturisce anche dalla deformazione dei corpi e dalle linee che si tagliano vicendevolmente, dalle lingue aguzze che fanno pensare ad urli dolorosi, disperati, laceranti.
Solo una lampadina, in alto, rappresenta, forse, una flebile speranza.
Tre opere di artisti vissuti in contesti talmente differenti che di certo non possono essere paragonati. Li accomuna però il disprezzo per le conseguenze delle atrocità umane, il pensiero che soltanto una distorsione dell’anima può portare ad uccidere i propri simili, non importa se la causa sia ritenuta o meno lecita e se siano rappresentanti del divino, grandi condottieri o uomini comuni a distruggere vite umane. Non si tratta di condannare il nemico di turno o di celebrare la potenza e la supremazia di un popolo su di un altro, come spesso questo genere pittorico è portato a rappresentare, ma il tema che accosta queste tre opere sembra essere davvero lo stupore per l’insensatezza della guerra.
Adesso riseco a fare un passo indietro: guardo l’umanità da un’altra angolazione. Nella mia mappa immaginaria l’india ora sta vicino all’Italia e alla Spagna, insieme a tutte le altre terre frammentate da secoli di conflitti. L’arte, in effetti, non serve a gran ché. I quadri stano lì, in silenzio a guardarti ma il loro compito è di aiutare a scrutare le anime, scandagliare le epoche storiche, ricordare il passato per interpretare il presente.

Il Viaggiator Curioso,
Mamallapuram, 24 aprile 2018.

Luoghi delle immagini: Museo Archeologico Napoli, India del Sud, Territori Palestinesi, Isfahān (Iran), Museo Nacional de Arte Reina Sofía (Madrid).