La danza di Śhiva è una raffigurazione della divinità, nella sua forma di “Naṭarāja”, il Re della danza.

Questa rappresentazione si fonda su un antico mito che descrive i saggi cantori dei Veda Ṛṣi (Rishi) della foresta di Tāraka, in Himālaya, mentre cercano di sopraffare la divinità intonando melodie magiche. Śhiva, per contrastare il loro intento, si mette a ballare trasformando le maledizioni in energia creativa positiva. I Ṛṣi allora, sempre per mezzo della magia, generano il nano Apasmāra, personificazione dell’ignoranza e dell’assenza di memoria, aizzandolo contro il dio. Ma Śhiva lo schiaccia con il suo piede destro, liberando l’umanità dall’inciviltà.

Nell’immagine iconografica Śhiva è sempre rappresentato con quattro braccia che formano delle mudrā, cioè dei gesti simbolici: la mano sinistra, posta dinanzi al lato destro del corpo, è nel segno dell’elefante, gaja-hasta, che indica la forza con la sua proboscide, mentre la mano destra è sollevata nel gesto di protezione, invita quindi il fedele a non avere paura del male.

Con l’altra mano destra sollevata, la divinità regge il tamburo primordiale a forma di clessidra, il ḍamaru, che rivela il tono e il ritmo dell’universo, intonando il primo suono che genera il mondo.

La sua vibrazione permette di unire il liṅga con lo yoni e aprirsi al palpito del cuore. E’ questo infatti l’obiettivo della meditazione. Con l’altra mano sinistra invece Śhiva alza il fuoco, segno della distruzione. A sorreggere la figura del Danzatore cosmico, che simboleggia il ciclo naturale dell’evoluzione e della trasformazione, c’è un fiore di loto con un fulmine di fuoco semicircolare: si tratta della sacra sillaba Oṃ.

L’induismo è caratterizzato da divinità gioiose che in genere esprimono vitalità e sensualità, il più noto tra gli dei è proprio Shiva, maestro della danza. E’ infatti sempre raffigurato in atteggiamento allegro, che ride e balla sulle spalle del demonio dell’ignoranza. Per inesperienza le persone spesso tendono a perdere equilibrio e consapevolezza. Shiva sconfigge, per mezzo del suo danzare, la causa della sofferenza e attraverso la sua musica genera la vita: in sostanza tiene il Mondo in continuo movimento.

Queste non sono però le uniche spiegazioni simboliche possibili della Danza di Shiva perché nell’induismo ogni devoto rimane libero di interpretare le rappresentazioni religiose secondo le sue aspettative. Il risultato è un’incredibile ricchezza di forme e colori, ritmi e movimenti, pensieri, spesso diversi da una regione all’altra del Paese.
Noi cristiani siamo invece abituati ad una religiosità dogmatica, con definizioni univoche e ben distinte, intrise di concetti etici e morali, come il senso di colpa e l’espiazione, il bene distinto dal male, la grazia e la redenzione. Tutto questo è alieno all‘induismo.
Śhiva per esempio è all’unisono Dio della vita e della morte: la creazione avviene attraverso la distruzione di ciò che c’è stato in precedenza. Quindi una divinità in India può incarnare un concetto e il suo posto.

Nel museo del Palazzo Reale di Tanjavur c’è un grande ambiente centrale con una moltitudine di statue devozionali di Shiva che mi circondano a tal punto da voler danzare come un vortice intorno al mio corpo. Mi aggiro tra le sale in cerca di altri sguardi da incrociare che non siano di bronzo o pietra scura ma sono proprio l’unico visitatore rimasto nella sala. Mi guardo intorno smarrito e le statue guardano me. Cedo alla tentazione e mi unisco ai loro ritmici movimenti di marmo. Ballo avanti e indietro nell’ampio spazio della stanza, i loro occhi mi seguono senza perdermi un istante.

Sarebbe splendido imparare a lasciarsi prendere sempre per mano dalla musica come sto facendo ora e farsi trascinare, con la mente priva di ingombri, nel Gran Ballo della Vita. L’India ti lascia essere ciò che sei.

Saranno le spezie, sarà la confusione del traffico oppure il jet-lag ma continuo a farmi stupire da questo luogo. Come sostiene il giornalista Beppe Severgnini “l’India è un paese che pensa in verticale: le cose qui vanno sempre meglio di ieri e peggio di domani. Noi europei ormai siamo portati soltanto a pensare orizzontale: meglio o peggio del vicino di casa, del collega, del concittadino, dell’altra regione o del paese di fianco. Sempre più spesso rifiutiamo di lasciarci disorientare dal nuovo, dall’inatteso da noi stessi”.

Ora riesco a mettere a fuoco il futuro: questo viaggio mi ha cambiato, forse più di altri. Domani sarà un giorno migliore per me.

Ivo Stelluti, Il Viaggiator Curioso,
Rameshwaram, Tamil Nadu, India
28 Aprile 2018.