I confronti – In tempi non remoti, insieme alla Prof. Maria Antonietta Crippa e alla Dott.ssa Carla Di Francesco, mi sono occupato, per un'importante lavoro monografico patrocinato dalla Regione Lombardia*, della chiesa
dell'Annunziata di Gio Ponti realizzata tra il 1964 ed il '67 per l' Ospedale San Carlo Borromeo di Milano ed attualmente in corso di restauro proprio grazie a questo studio di cui mi pregio d'esser stato il promotore insieme al locale cappellano Don Mario Meroni: un capo d'opera di questo grande architetto sensibile al sacro, in grado di potersi confrontare anche con capolavori assoluti del XX secolo come la cappella di Le Corbusier a Ronchamp. In passato ho assiduamente frequentato l''architettura sacra' moderna e contemporanea, non esclusa quella di Mario Botta (tra i pochi 'architetti del muro' ancora in circolazione…) di cui stimo in particolare, nel risultato, la chiesa di Mogno in Valle Maggia dedicata al Battista (un po' meno tutte le altre). Perciò, quando un amico architetto m'ha informato della recente realizzazione e consacrazione d'una cappella interna al nosocomio tradatese, ho accettato volentieri di visitarla.

Il font architettonico – Un'aula a pianta centrale d'otto lati rimanda alla simbologia dell'ottavo giorno, quello della resurrezione, tipica delle fonti battesimali, forse in un inconsapevole rimando a quella ottagonale di ciò che resta del raro battistero nella vicina Basilica di San Giovanni Evangelista in Castelseprio. Il tetto a padiglione culminante in una edicola o lanterna in vetro, è sorretto da pilastri cementizi a parasta uniti tra loro da setti in muratura tagliati ad una certa quota da un girale di finestre a nastro in vetro-alluminio, di modo che lo spazio interno dell'aula risulta illuminato da una luce di provenienza e qualità semizenitale, indiretta. Nell'insieme l'esito di questo intervento degli architetti Giani (la cui manualistica fonte ridotta a 'font architettonico' è lapalissianamente quella di chiese, battisteri e mausolei paleocristiani e romanico-gotici), formalmente ricorda alla lontana proprio l'avancorpo d'una di quelle cappelle a base poligonale e copertura a padiglione, poste da Ponti a latere della navata centrale della summenzionata chiesa milanese dell' Ospedale San Carlo e delle quali pare una piana e del tutto casuale replica. Al suo interno, per ora unico segno degno di nota, la popolare ma espressiva figura lignea di un Cristo antico crocifissa ad una croce di plexiglas trasparente come se fosse una… vetrofania; così come non v'è traccia iconografica della dedicatoria ad Elisabetta ( che porta in grembo il Battista, il precursore del Cristo) visitata da Maria (tedofora ): auspichiamo che un simile evangelio venga affidato alle cure di un artista di comprovata sensibilità non iconolatra per il sacro.

Luogo senza il sacro – Senza scomodare Vitruvio, ci chiediamo dove stia la sacralità di un simile spazio, praticamente identico agli ambienti ospedalieri in cui è inserito, indistinguibile da essi, tutt'altro che 'altro' ed 'altrove' come dovrebbe essere: inavvertibile qui la 'soglia' ed il 'recinto sacro' che trasformano il tempo vissuto nel tempio dell'Essere (ardua impresa in un tempo in cui si preferisce, per pigrizia ed incapacità, citare malamente l'antico anziché ricercare e porre in atto quelle forme in cui consiste tutta l'umanità che presuppone il nomos tecnologico non scisso dal logos, ossia la trasformazione della 'tecnosfera' in 'noosfera' ). In altre parole: manca la luce per il raccoglimento, per la 'trasformazione transustanziale' del proprio spazio interiore in tempio dell'interiorità attraverso le forme del tempio costruito, materiale, esteriore; manca quella forza che chiama a raccolta chi in un luogo simile, tra le corsie di un ospedale, cerca il raccoglimento; certo non il degente immobilizzato in un letto, che, di un luogo dotato di una simile energia, avvertirebbe comunque la carismatica, consolatoria ed escatologica presenza. Si obietterà: il Verbo… . Ma il Verbo, non da oggi, può giungere anche via radio o televisione in una stanza d'ospedale.
Velo pietoso sulla qualità dei materiali impiegati (roba da edilizia scadente) e degli arredi liturgici; inoltre non comprendiamo come mai certi professionisti non si rivolgano ad una accessibile letteratura tecnica d'ambito nazionale in fatto di prefabbricazione, che oltre agli arcinoti Nervi & C. comprende anche figure quali quella non trascurabile di un Angelo Mangiarotti.

Anonima e minima funzione – Allargando il campo spazio-temporale intorno a questo intervento aggiunto, appiccicato più che integrato alla preesistente struttura ospedaliera, ci accorgiamo di come quest'ultima, trasformatasi nel tempo secondo un modello a blocchi, se nel corso del XX sec. costituiva di fatto e nei fatti un luogo socialmente forte tra le larghe maglie non armoniche ma almeno equilibrate di una rete poderale di "Campi, fabbriche e officine" ( per dirla con il Principe Kropotkin ), oggi altro non è che un edificio ridotto alla sua anonima e minima funzione assistenziale nella sempre più serrata ed efferata morsa d' una ‘città non-città' ( "villettopoli" dormitorio di cartongesso non dissimile dalla tragicomica quanto leggendaria Terezin che, anzi, da un punto di vista culturale era più disperatamente vivace… ) formata da ‘paesi non-paesi' outlettizzati ( "conurbazioni" le chiamano i non incolpevoli urbanisti nelle loro troppo tardive analisi ), in cui il suddetto equilibrio è stato rotto dal massiccio ingresso dei centri commerciali e di tutto quello che questi hanno comportato e comportano antropologicamente.

L'occasione mancata – Poiché siamo tra coloro che pensano che un land-mark architettonico non possa da solo influenzare in positivo, se non superficialmente, le contraddittorie dinamiche di un territorio sconvolto da contraddizioni sempre più sterili e ai limiti dell'umano, non riteniamo che una cappella interna ad un ospedale avrebbe potuto incidere più di tanto sul contesto, anche nel caso fosse stata affidata alle cure di un architetto di qualità e non necessariamente money star; da cittadini, inoltre, ci riteniamo già fortunati ad avere ancora un ospedale funzionante, bene o male, fuori dall'uscio di casa. Però – con tutto il rispetto per gli edili locali – non sarebbe stato possibile per la Curia trasferire qui a Tradate, ad un passo dal suo Seminario Arcivescovile che tanto ha seminato nel ‘900 (incluse figure controverse ma fertili come quella del poeta Emilio Villa), l'irrealizzato progetto di "chiesa ecumenica" proposta da Mario Botta per la Malpensa (un "fiore di pietra" con un impatto planimetrico di soli 300 mq.) e che qui, in un ospedale frequentato da credenti di diverse fedi religiose, laici ed agnostici, avrebbe avuto oggi ancor più senso?

Letture consigliate – Ma ormai la cappella è fatta: speriamo nel cappellano. Per il datato plesso ospedaliero tradatese, invece, lifting a parte e nel caso gli si volesse porre mano, c'è sempre gente come Renzo Piano in circolazione (più a buon mercato di quanto non si pensi!), coadiuvato magari da studi specializzati come il Design and Help di Stoccolma: siamo o non siamo in Europa? E senza andare troppo lontano, mai visto il Cardinal Massaia di Asti? Quasi un hotel , dal 2004, con una 'piazza' dove oltre a consultori, laboratori, prenotazione per visite a domicilio e campagne di prevenzione sanitaria, si tengono anche mostre e concerti; mica poco in tempi in cui qualcuno, come tale Nicola Emery, vorrebbe addirittura medicalizzare l'architettura ( "l'architetto è un medico per la città malata"… ) anziché architettare i luoghi dell'esercizio medico. A simili "teorici" dell'architettura ma soprattutto agli architetti, consiglieremmo inoltre la lettura – oltre a quella del succitato Piotr Kropotkin – delle "Lettere dal Lago di Como" su la tecnica e l'uomo di Romano Guardini per i tipi della Morcelliana (gli architetti Giani avrebbero potuto reperirle facilmente in Tradate presso una libreria vicina alla Parrocchiale di Santo Stefano): furono spedite dal grande pensatore cattolico ad un amico tra il 1923-'25 ma, a dispetto delle date, oltre ad essere attualissime sono anche amiche sincere del nostro tempo.

Tirem innanz – Ospedale (in generale, in Italia): ghetto per malati, lazzaretto medicalizzato, più che luogo di cura dove prendersi cura di chi lotta con una malattia o muore; c'è un abisso tra la professionalità e l'umanità del corpo medico che vi opera e la deprimente condizione della maggior parte dei luoghi di ricovero dei corpi malati, tra la problematicità delle molte questioni bioetiche che vi si agitano e la banalità maligna delle forme chiamate più ad isolarle e a rimuoverle dal contesto che non ad aprirle meditatamente e senza le mediazioni di una pubblica opinione ridotta a nocivo opinionismo giornalistico, Doxa ridotta a Noxa. A medici e malati spetterebbe di diritto molto di più d' un collage di cemento vetusto ed impianti tecnici sparsi qua e là tra i cartelloni pubblicitari ed un verde sempre meno verde, la cui colla è quella del "tiriamo avanti" come si può: quel proverbiale tirem innanz che, non dimentichiamolo, fu pronunciato da un torturato e condannato a morte….

(*) M.Medaglia, "Una città in un tempio, nella luce", pp.22-38, in AA.VV., "Gio Ponti. Meravigliosa ventura costruire chiese.La chiesa della Santa Maria Annunciata per l' Ospedale San Carlo Borromeo", Ed. Ospedale San Carlo Borromeo, Milano, 2006, pag.262; con prefazione di S.E. Dionigi Cardinal Tettamanzi Arcivescovo di Milano.