John Collier, Lady GodivaJohn Collier, Lady Godiva

Un arabesco vario, frutto di variegate tessere di mosaico, potrebbe rappresentare, graficamente, in modo appropriato l'epoca a cavallo tra l'Otto ed il Novecento, per le tante esperienze socio culturali che si intersecarono e che, non di rado, si respinsero reciprocamente.

Sempre tenendo presente come punti cardine la data di nascita e di morte di Gustav Klimt (1862 – 1918), balza all'occhio un dato che fa riflettere sulla "fucina" del tardo Ottocento, dove la società, con le luci e le ombre che ad essa si accompagnano, si espresse talora in modo contradditorio: la "Belle – epoque", infatti, rappresenta soltanto l'aspetto il più appariscente che la "buona società" volle fare apparire quale elemento caratteristico della vita quotidiana dell'epoca.

Ben diversa, infatti, era la realtà, dove, ad una borghesia senza dubbio agiata, e ad una nobiltà per lo più spiantata, ma la cui frequentazione era ambita dai borghesi stessi e dalla politica, si contrapponeva il proletariato urbano e agricolo, classi che potevano solo assistere dal fuori alla parata splendente (e ben recitata) del "bel mondo".

Le esigenze e le richieste di maggiori diritti per coloro che rappresentavano l'elemento fondante della società produttiva provocarono una rivoluzione certamente lunga e poco appariscente, che, però, produsse, per la prima volta, una spaccatura insanabile tra ricchi e poveri. Se la nascita dei sindacati in Europa fu il primo passo affinché il proletariato fosse considerato come reale elemento sociale nelle stanze dei bottoni, non si può dimenticare

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Ritratto di mia madreGiuseppe Pellizza da Volpedo,
Ritratto di mia madre

che ogni attento osservatore avrebbe rilevato, per lo più, povertà, indigenza, mancanza di istruzione (soprattutto in Italia, ma anche nel cuore dell'Europa centrale), malattie endemiche e sovvertimenti contro l'ordine precostituito.

Come ignorare che anche l'arte si fece carico di questa "denuncia"? E' la prima volta che l'Arte diventa uno dei principali mezzi di "denuncia sociale": "Il quarto stato" (1901) di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1860 – 1907) è lì per rammentarcelo, ma è altrettanto esemplare "Il vagone di terza classe" del 1864, di Honoré Daumier (1808 – 1879).

Ai Preraffaelliti che "rivisitano" il medioevo (come, in architettura, fa Camillo Boito) capitanati da Dante Gabriel Rossetti (1828 – 1882), risponde, ad esempio, un Norvegese che denuncia la plumbea quotidianità dell'area germanica, Charles Munch, il cui "L'urlo", del 1893, resta, senza dubbio, tratto distintivo, ma opera parziale nel corpus di un autore che vive la quotidianità della società trasferendola in chiave "visionaria" nella pittura. Sono le angosce dell'uomo che dirompono senza motivo apparente in questo dipinto: un elemento chiave che interessa la cultura dell'epoca.

Amico di Munch era il drammaturgo August Strindberg ("La stanza rossa"); dell'inconscio "incomprensibile", ma da comprendere, di lì a poco, se ne occupa Freud, come ricordammo nell'articolo precedente.

Allora, potremmo così affermare che La "Belle epoque" è la rappresentazione in letteratura, musica, arti figurative, eccetera, dello scongiuro nei confronti della morte, del dolore, dell'indigenza: un giro di "valzer" che, inebriando i sensi, con l'aiuto dello champagne, scandisce la vertigine della vita, tramite la vertigine del ballo.

Ma, cosa sia e cosa rappresenti il valzer per l'epoca, lo tratteremo la prossima settimana.