Filippo MaggiaFilippo Maggia

Fotografie, film, video e installazioni di 21 fra i più importanti artisti contemporanei asiatici. Un budget consistente, destinato all'acquisizione di opere importanti, spesso realizzate per l'occasione; la vocazione di una Fondazione privata a farsi carico di un impegno cui il pubblico non riesce ad arrivare.
Su questi presupposti apre nel week-end a Modena Asian Dub Photography, la mostra che presenta le prime acquisizioni della nuova Collezione di Fotografia Contemporanea della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Ne parliamo con il curatore del progetto sotteso, Filippo Maggia, storico e critico della fotografia, varesino di Somma Lombardo.

Filippo Maggia, un progetto in grande stile, ambizioso e dotato di un budget importante. Come nasce?
"Nasce da una situazione particolare e una più generale. Quella particolare è che a Modena per anni all'interno della programmazione museale civica sono stato il responsabile di un Festival annuale, Modena per la fotografia, che è stata un'esperienza bellissima, quasi pionieristica, ma che per primo io stesso ho riconosciuto aver fatto il suo tempo. Occorreva un salto di qualità; non solo mostre estemporanee, ma qualcosa di stabile, una istituzione, un dipartimento, che si occupasse di fotografia a tempo pieno e in pianta stabile. Cosa difficile in ambito pubblico. E questa è la situazione più generale, una condizione italiana, una lacuna italiana. Qui si è inserita la scelta della Fondazione di creare una collezione, fatta di acquisti importanti nei luoghi d'origine delle opere, e condensarla in uno spazio frubile sempre. L'obiettivo di tutto il progetto è arrivare a fare dell'ex ospedale di Sant'Agostino qui a Modena di un luogo interamente dedicato all'arte fotografica".

Come si articola il progetto e il processo di acquisizioni?
"E' un progetto dalla durata complessiva di tre anni, strutturato per aree geografiche precise. Quest'anno ci siamo dedicati all'acquisizione di opere provenienti dall'Estremo Oriente, Giappone, Cina, Corea; il prossimo anno sarà una ricerca nei nuovi territorio dell'Europa dell'est, dall'Estonia alla Turchia, il terzo anno, punteremo l'attenzione sul continente africano. Fino a questo punto le tre fasi del progetto sono già state deliberate ed esiste già un piano finanziario di copertura. Verosilmente, nel successivo triennio, la campagna di acquisizione si rivolgerà al resto del mondo".

Un'opera di Ryuji MiyamotoUn'opera di Ryuji Miyamoto

Quanto comporta in termini di tempo e di studio una politica di acquisizione di questo tipo?
"Più o meno sei mesi. Tre mesi di viaggi fitti, tra Cina, Giappone e Corea, per opzionare i pezzi più importanti, quelli più significativi, quelli più facilmente appetibili dal mercato. Poi altri mesi di decantazione, di ripensamento, di taratura delle proprie scelte".

Quanto mette a disposione la Fondazione per la tua ricerca?
"Complessivamente per il primo triennio intorno al milione e mezzo di euro. Un budget elastico, comunque; posso spendere meno risorse nel caso, ma anche accrescerlo, trovandoci di fronte a situazioni imperdibili".

Qual è il tuo criterio di imperdibilità?
"E' pensare ad una collezione che non vuole essere solo fatta di grandi nomi, ma se è possibile di grandi opere. Opere particolarmente significative nel percorso di quello o di quell'altro autore, fatte a maggior ragione per l'occasione. Un discorso di qualità specifica e non di qualità in generale".

La tua scelta è caduta su 21 autori, pochi se pensiamo all'enormità dell'area geografica interessata.
"Bisogna tener conto che il progetto non è limitato alla sola fotografia ma anche ai video e alle installazioni. E ogni artista individuato ha più opere esposte. Si è scelto di coniugare alcuni nomi imprescindibili, basti pensare ad Araki, Sugimoto, Morimura per l'ambito giapponese a nomi emergenti. Questo vale tanto più per la Cina, dove la società è sottoposta a rapidissime trasformazioni economiche e sociali, tanto radicali da rendere conflittuale il rapporto tra tradizione e innovazione e tanto profonde da mettere in discussione l'identità stessa dei singoli individui. Molti lavori individuati insistono proprio su queste conflittualità".

Perché il progetto è dedicato alla fotografia, in particolar modo?
"Perché c'è la consapevolezza che la fotografia ormai abbia assunto un ruolo fondamentale come strumento di osservazione e di trasformazione del mondo. Sulla base di questa convinzione la Fondazione ha deciso di gettare le basi di una collezione che per ampiezza ed accuratezza analitica può offrirsi quale patrimonio eccellente in un contesto – quello italiano – che da tempo ne scontava l'assenza".