La storia di Dalì è avvincente, intensa, anche se segnata dal dolore.


Poche righe non bastano per approfondire la sua importanza come artista e come uomo, ma offriranno un nuovo sguardo sulla sua vita. Su un percorso artistico che diventa sempre più originale e alternativo affondando le radici nei traumi dell’infanzia e dell’adolescenza.

Un racconto che ci porterà da Figuera, la città catalana dove nacque nel 1904, fino a Gavirate in provincia di Varese, dove il 31 agosto terminerà la mostra “Il genio di Dalì” presso l’Historian Gallery: un’occasione imperdibile per ammirare le poco note illustrazioni realizzate per la Sacra Bibla e la Divina Commedia. Luogo di innovazioni tecniche e, soprattutto, spirituali.

Salvador Dalì nacque in una famiglia benestante: il padre era avvocato e notaio. Nove mesi prima della sua nascita il fratello, che portava lo stesso nome, era morto di meningite: non aveva ancora tre anni. Quando compì 5 anni i genitori – un padre rigido e una madre amante dell’arte – lo accompagnarono sulla tomba del fratello e gli dissero che ne era la reincarnazione. Il piccolo Salvador se ne convinse e pianse la morte del suo omonimo per tutta la vita, arrivando ad affermare: “ci somigliavamo come due gocce d’acqua … probabilmente lui era la prima versione di me, ma concepito in termini assoluti”.
Un fardello pesante da portare.
Aveva anche una sorella,  Ana Marìa, che in seguito avrebbe scritto un libro a lui dedicato.

Dalì iniziò a frequentare una scuola d’arte. Nel 1919, durante una vacanza a Cadaqués, scoprì la pittura moderna grazie a un amico e artista che frequentava Parigi.
Poi, quando aveva solo 16 anni, fu segnato dal secondo trauma della sua giovane vita: morì la madre, che amava molto ed era la sola che appoggiava con entusiasmo  le sue aspirazioni artistiche. Disse di lei: “Non potevo rassegnarmi alla perdita della persona su cui contavo per rendere invisibili le inevitabili imperfezioni della mia anima”. Il padre, nonostante fosse una persona rigida e non condividesse gli interessi del figlio, ne riconobbe la bravura e, nel 1920, allestì una mostra di suoi disegni a Figuera.

A partire dal 1922 il giovane artista si iscrisse all’Academia de San Fernando, l’Accademia di Belle Arti di Madrid.

Era un tipo molto particolare, appariscente: per idee e aspetto. Nella Residenza per studenti in cui viveva strinse amicizia con il futuro regista Luis Buñuel e con Federico García Lorca, che sarebbe diventato uno dei maggiori poeti e drammaturghi spagnoli. Il loro legame restò sempre saldo. Nel 1926 ebbe bruscamente termine l’esperienza di studio: poco prima degli esami finali Dalí fu espulso dall’Academia. Non solo aveva detto che nessuno lì dentro era “abbastanza competente per esaminarlo”, ma aveva anche svolto attività politiche contro il Governo.

Lasciata Madrid raggiunse Parigi: vedeva la capitale per la prima volta e ne fu conquistato. Incontrò Pablo Picasso e Juan Mirò. In seguito, nella definizione di uno stile personale che fondeva avanguardia e classicismo, la loro influenza e quella dell’opera di Giorgio De Chirico e Yves Tanguy, maestri dell’inconscio tradotto su tela, si intrecciarono profondamente con il riferimento ai maestri Rinascimentali incontrati nel corso degli studi.
Dalì si esprimeva usando, di volta  in volta, tecniche classiche e tecniche moderne.
A volte le utilizzava insieme, raggiungendo quei risultati che attirarono l’attenzione dei critici. Questo interesse, positivo ma anche negativo, gli diede una fama incredibile e Dalì sottolineò questo momento facendosi crescere quei baffi così particolari, che si ispiravano al maestro del Seicento Velàzquez e che divennero un suo tratto caratteristico

Il 1929 fu un anno molto importante per l’artista: lavorò con l’amico Buñuel alla sceneggiatura del cortometraggio “Un chien andalou” (in seguito avrebbe lavorato anche con Alfred Hitchkok e Luchino Visconti), incontrò la sua musa e futura compagna Gala (un’espatriata russa che allora era moglie di un poeta surrealista) fece numerose mostre e si unì al gruppo dei Surrealisti.
Anche Dalì voleva usare la sua arte come espressione dell’inconscio, ma il suo surrealismo era del tutto personale e ricco di richiami alla psicanalisi freudiana, fatto di una tecnica minuziosa, ricca di simboli.

In quel periodo Dalì ruppe i rapporti con il padre, infuriato con il figlio per gli atteggiamenti che riteneva immorali e sacrileghi.

Poco dopo Dalì e Gala si traferirono nell’incantevole baia di Port Lligat, dove decisero di vivere e dove, nel 1930 l’artista teorizzò il suo “metodo paranoico-critico” che consisteva nella ripetizione ossessiva di elementi legati alla parte più profonda dell’inconscio, quella dei conflitti familiari, delle pulsioni sessuali, dell’amore e della morte. La contemplazione di questi elementi portava alla loro trasmutazione, realizzata in uno stato allucinatorio.

Nel 1934 Salvador sposò Gala.

Mentre la fama cresceva, la vita di Dalì fu segnata da prese di posizione che lo resero sgradito a molti, come quando, nel 1934, fu espulso dal Movimento Surrealista perché non si era espresso chiaramente contro il fascismo. In realtà la sua era una posizione apolitica e la sua risposta fu: “Il Surrealismo sono io!”. Due anni dopo Dalí partecipò all’Esposizione internazionale surrealista di Londra, presentandosi vestito da palombaro e rischiando di soffocare dentro lo scafandro.

Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, i Dalì si trasferirono per 8 anni a New York e Salvador si riavvicinò al cattolicesimo.

Ed ecco emergere il legame tra l’artista catalano e il varesotto: nel 1950, in vista del 700° anniversario della nascita di Dante Alighieri, il governo italiano commissionò all’artista l’illustrazione della Divina Commedia.

Tra il 1950 e il 1959 Dalì realizzò 100 incredibili acquarelli che, riprodotti su matrici e poi stampati come xilografie, vennero raccolti in un prezioso volume dalla Salani Editore, attiva nel mondo dell’Arte già dal 1862.

34 tavole per l’Inferno, 33 per il Purgatorio e 33 per il Paradiso trasportano lo spettatore nel viaggio di Dante e nel percorso di redenzione di Dalì stesso.
Vennero pubblicati 3000 lavori. Nelle sale dell’Historian Gallery si ha l’opportunità di contemplare la serie completa, tratta dall’esemplare numero 2428.

Nel ’51 i Dalì tornarono in Catalogna, Franco era ancora a capo del Governo.

Nel 1960 Dalì iniziò a lavorare al Teatro Museo di Figuera, la sua città natia.

Ed ecco il secondo collegamento con la mostra di Gavirate: all’inizio degli anni ’60 il collezionista italiano Giuseppe Albaretto, amico di Dalì da anni, commissionò all’artista l’illustrazione di una preziosa edizione della Sacra Bibla, per riavvicinare Salvadòr alla Fede e alleviare la dominazione emotiva esercitata su di lui dalla moglie Gala.

Dalì dipinse 105 tavole serilitografiche per illustrare dei passi della Vulgata – la traduzione latina da San Girolamo risalente al IV secolo. Le illustrazioni, poi raccolte in 5 volumi rilegati in pelle ed edite da Rizzoli, consentirono all’artista di sperimentare nuove tecniche artistiche, come l’uso di una sorta di archibugio per lanciare l’inchiostro sulla tela.
Tutte le immagini tratte dall’edizione luxus numero 1095 di 1499 sono esposte all’Historian Gallery, sul nostro lago, fino al 31 agosto.

In questo periodo Dalì realizzò molte cose, come il logo dei lecca-lecca Chupa Chups, ma si concentrò soprattutto sul progetto  del Teatro Museo, operandovi piccoli ritocchi fino a metà anni Ottanta.

Proprio nel 1980 accadde qualcosa che non è mai stato chiarito e che tolse a Dalì la capacità di creare: prese dei medicinali che gli danneggiarono il sistema nervoso, provocando un forte tremito alle mani. Forse gli furono somministrati inavverititamente dalla moglie. Gala morì nel 1982 e Salvador Dalì concluse la sua vita nel 1989 a Figuera e nel suo testamento lasciò allo Stato Spagnolo tutte le opere e proprietà.

Fu sepolto all’interno del suo Teatro Museo.
L’edificio era un teatro distrutto dalle fiamme durante la Guerra Civile Spagnola: Dalì lo scelse per ospitare la più grande collezione delle sue opere e l’ha reso un luogo indimenticabile, il più visitato in Spagna dopo il Prado di Madrid. Un museo diverso da ogni altro, dove non vengono posti limiti all’immaginazione.

L’impatto è fortissimo: il visitatore viene trasportato in un mondo unico, creato dall’artista. Viene guidato ogni giorno tra le scene di una rappresentazione che muove dal passato e attraversa tutti i momenti della sua carriera.

Negli spazi suggestivi del Teatro Museo si possono ammire installazioni, disegni a matita, fotografie, dipinti e anche gioielli.

Ma, per chi voglia apprezzare ben 205 lavori di Dalì, una sfaccettatura della sua opera, senza arrivare in Catalogna, è possibile visitare la mostra “Il Genio di Dalì”.

Il direttore dell’Historian Gallery Luca Verzelloni racconta con soddisfazione: «Sono arrivate migliaia di persone per visitare la mostra: dall’Italia, da Strasburgo, dalla Svizzera e da molti paesi. Come primo esperimento sui laghi è assolutamente positivo. E’ la dimostrazione che, quando si lavora bene, i risultati ci sono. Noi responsabili dell’Historian Gallery siamo fiduciosi per la riuscita delle nostre prossime iniziative. Stiamo infatti pensando di attivare un servizio navetta gratuito dalle Stazioni Nord alla galleria».

«Quanto ai nostri progetti futuri, stiamo lavorando a una mostra su Giorgio De Chirico che, verosimilmente, aprirà tra ottobre e novembre prossimi. Abbiamo raccolto il materiale necessario richiedendolo a privati e a musei: presenteremo opere molto interessanti, tra cui delle tavole acquarellate a mano. Grazie alla lunga esperienza acquisita nel mondo delle mostre d’Arte, tra Lugano, Varese, la Reggia di Caserta, Perugia e Villa Litta a Lainate, stiamo concludendo i passagi legali per le concessioni e stiamo preparando il catalogo».

E il viaggio onirico di Salvador Dalì continuerà nel nostro sguardo.

Chiara Ambrosioni