La facciata seicentescaLa facciata seicentesca

La buona novella – Dopo anni di polemiche, immobilismi, ritardi, buone intenzioni inevase sulla sua destinazione d'uso, crolli ripetuti, finalmente una buona notizia, 'quasi uno scatto d'orgoglio' arriva dal rudere del Castello di Belforte. Nel corso dei più recenti interventi di consolidamento e di restauro sono affiorate da una parete al primo piano del corpo di fabbrica seicentesco tracce di antichi affreschi, coperti sin qui da strati di intonaci, in corso di progressivo sfaldamento.

San Sebastiano? – A prima vista si tratta di una figura virile, aureolata, un San Sebastiano, molto probabilmente, a giudicare dalle chiare ma ancora non risolutive tracce di evidenze iconografiche. Sul corpo, la figura di corporatura maschile presenta segni orizzontali che potrebbero essere frecce e gli altrettanto corrispondenti segni di ferite. La stessa postura del braccio sinistro, di cui non si vede la mano, fa pensare alla canonica posizione del santo martire costretto, mani dietro la schiena, ad appoggiarsi ad un retrostante sostegno. Della figura, a misura naturale, si intravede con molta difficoltà anche il profilo del piede.

Franco Prevosti vicino all'affrescoFranco Prevosti vicino all'affresco

E la Madonna in trono – Ma non finisce qui. Alla sua destra, emerge, in questo caso, quasi senza ombra di dubbio, la sagoma rotonda e paffuta di un braccio di bambino, centro visivo di una composizione che potrebbe essere una Madonna in trono con Gesù. La nobiltà del soggetto parrebbe confermata dalla definizione prospettica dell'opera data in basso alla composizione da un finto tappeto di cui si conservano alcuni frammenti, di particolare fascino.

Quel Seicento misterioso – La notizia diffusa dal presidente della Commissione Cultura di Varese, Franco Prevosti, è di quelle che non lasciano del tutto indifferenti. E' da mesi che che gli operai stanno lavorando al cantiere di Belforte. Ristrutturandone il tetto, lavoro ormai concluso, mettendone in sicurezza gli elementi più a rischio. Soprattutto nella parte più antica, quella che, secondo la tradizione, vide ospite il Barbarossa. Ma ponteggiato è completamente anche l'interno dell'ala seicentesca, lo splendido manufatto cui misero mano i Biumi, seguendo  forse sollecitazioni dell'architettura di ambito della famiglia dei Richini, attivi a Milano e in Lombardia per tutto il XVII secolo. In questo senso il lessico del palazzo è abbastanza chiaro: con le colonne binate, le piccole nicchie sovrastanti, al livello superiore i grandi finestroni sormontanti, alternativamente, da timpani triangoli e lunette ad arco ribassato ci cosegnano lo 'scheletro' di un edificio di rappresentanza, creato a misura della gloria della famiglia.

Il corridoio interno al piano nobileIl corridoio interno al piano nobile

L'Odissea del Castello – Fin qui il noto, ancora in bel parte da studiare in verità. Si sapeva che la testimonianza architettonica del castello fosse ragguardevole. Ma ora anche l'interno potrebbe cominciare a parlare una lingua viva. Sorprendentemente. Facendo così  riaccendere i riflettori sul vecchio edificio, già negli anni scorsi al centro innumerevoli consigli comunali e finito nelle trattative con Iper al tempo del progetto di allargamento della propria superficie commerciale. Allora, si era nel 2003, la giunta Fumagalli chiese ed ottenne che Iper stornasse circa 900 milioni di vecchie lire da precedenti impegni per destinarli alla messa in sicurezza del maniero. Altri centomila euro, ottenuti dall'alienazione di immobili comunali era già stati dati alla causa in sede di progettazione dell'intervento.

Quella ragione in più – Nel frattempo altri crolli ed altri consigli comunali sono intercorsi a rendere ciclicamente evidente il problema di cosa farne del vetusto testimone. "Non vi vedo altro che una sede museale", prefigura Prevosti, tra i tanti a sostenere da tempo le ragioni del restauro e di una sua nuova riqualificazione, insieme a dir la verità a trasversali convergenze politiche, dalla Lega, a Rifondazione, passando per il belfortese segretario diessino Fabrizio Mirabelli, all'impegno dell'aennino Luigi Federiconi fino alle associazioni ambientaliste. Una convergenza che fino adesso non ha risolto in via definitiva i nodi legati all'esistenza e al futuro di Belforte. Adesso, sul tavolo, forse ci sono ulteriori elementi per perseverare per la sua difesa. Senza che appaia accanimento terapeutico.