Il filosofo Rocchi - da internetIl filosofo Ronchi – da internet

Che rapporto c'è tra vita e arte? In che relazione si pongono le immagini visive, che quotidianamente ci circondano, e la nostra vita? Di questi interrogativi si è occupato il prof. Rocco Ronchi dell'Università dell'Aquila in un incontro serale tenutosi a Legnano lunedì 30 maggio. Organizzato dall'Associazione Artistica Legnanese e dalla Famiglia Legnanese, ha visto coinvolto un pubblico numeroso ed eterogeneo, composto da artisti, professori e appassionati di tutte le età.

La riflessione ha preso spunto da una considerazione tanto semplice quanto significativa: ossia, che ogni immagine, per essere tale, ha bisogno di una cornice, ha bisogno di essere incorniciata, materialmente o idealmente. In altre parole, l'immagine si caratterizza proprio dal suo porsi fuori dal contesto, assumendo una posizione privilegiata: infatti, inquadrare una scena per dipingerla, o per fotografarla, o anche per descriverla in versi poetici, implica sempre una scelta da parte dell'artista, che dal flusso delle cose decide di selezionarne una in particolare, ponendola così su una sorta di piedistallo.

L'immagine nasce quando viene decontestualizzata, quando viene separata dal resto della realtà, quando viene sottratta all'incessante scorrere dell'esistenza per essere innalzata su un piano di fissità e di stabilità, entro una cornice che la racchiuda e la protegga. Un quadro nasce quando viene inquadrato, prima di tutto nella mente stessa del pittore; una foto nasce quando viene catturata dallo sguardo sensibile del fotografo, quando decide di prendere proprio quello scorcio, e non un altro; una poesia nasce quando l'immaginazione del poeta si concentra proprio su quella particolare scena, che i suoi versi renderanno immortale.

Creare un'immagine perciò significa sempre separare un pezzo di realtà, isolandola dal resto e cristallizzandola. In questo modo, però, essa viene sottratta al fluire della vita. Ecco perché il rapporto tra l'immagine e la vita è

PlatonePlatone

così complesso: laddove c'è l'una, non c'è l'altra. Un ritratto, proprio perché rappresenta l'immagine di una persona, non è quella persona. L'istantanea fotografica è la perfetta copia, eterna e immortale, ma non viva, di un soggetto o di un paesaggio che invece già nel momento successivo allo scatto è cambiato, poiché rapito di nuovo nel fiume vitale del divenire.

Questo è il motivo per cui le immagini generano anche un senso d'inquietudine, che è al contempo il segreto del loro fascino.
Le immagini sono legate al tenebroso mondo dei sogni e degli spiriti: ad esempio, nell'antica concezione greca, le anime dei defunti che abitavano l'Ade erano l'immagine degli uomini che furono. È per questo motivo che Ulisse, nel suo viaggio ultraterreno nell'oltretomba, non riesce ad abbracciare sua madre Anticlea: quando cerca di cingerla, si accorge che è intangibile e inconsistente, è solo l'immagine di sua madre.

L'immagine entra così in relazione anche con il concetto del "doppio", del "sosia": ogni essere umano, in quanto vivo, è portatore di una sua immagine, per certi aspetti la sua anima, che è lui pur non essendo realmente lui. Da qui proviene l'ancestrale paura, quasi reverenziale, nei confronti degli specchi: è quella sensazione suscitata fissando la propria immagine riflessa in uno specchio, con la consapevolezza che ciò che si ha di fronte è solo una rappresentazione di se stessi, e che pure è la nostra immagine e che pertanto ci segue e ci insegue in continuazione, come un'ombra. Un'ombra pronta magari a coglierci, a sopraffarci, a sostituirsi a noi: come quando

Il filosofo Henri-BergsonIl filosofo Henri-Bergson

una persona gravemente ammalata, depressa, o in fin di vita, diventa appunto "l'ombra di se stesso", irriconoscibile pur nella sua identità.

Platone aveva notoriamente messo in guardia nei confronti delle immagini.
Nella sua dottrina filosofica, il mondo non è altro che una pallida copia generata da un artefice, il Demiurgo, che lo ha plasmato su modello di Idee perfette ed eterne. Perciò, se già il mondo è una copia, cioè un'immagine, delle Idee eterne, allora a maggior ragione le opere artistiche saranno una copia della copia, ancora più degradata e inferiore, del mondo che rappresentano. È per questo che Platone, nonostante riconoscesse un ruolo socialmente utile ai poeti e agli artisti, avrebbe preferito bandirli dal suo Stato ideale. Si era reso conto che gli artisti, proprio perché trafficavano con le immagini, erano soggetti potenzialmente pericolosi. Produrre immagini era un'attività per certi aspetti occulta, misteriosa, magica, che li poneva su una sottile linea di confine tra la vita, nel suo scorrere e fluire, e la morte, nella sua statica fissità.

Anche il celebre filosofo Henri-Louis Bergson, di cui il professor Ronchi è uno dei massimi esperti italiani, aveva qualche sospetto nei confronti delle immagini. Nonostante in molti dei suoi libri egli elogiasse gli artisti quali vertici dell'espressione creativa dell'élan vital, lo slancio vitale, in altri suoi testi si può però leggere tra le righe la consapevolezza di una visione alternativa dell'arte delle immagini, dai contorni più fumosi e negativi.

Per questo motivo Ronchi ha voluto concludere ricordando un antico monito popolare di una tribù di indiani d'America: "Io non ho paura del giaguaro che corre nella pianura, perché quello posso ucciderlo. Io ho paura del giaguaro dipinto, perché contro quello non posso nulla".

La vita nell'immagine.
La natura dell'arte nella prospettiva bergsoniana

Relatore: prof. Rocco Ronchi
30 maggio 2011, ore 21.00

Famiglia Legnanese
Viale Matteotti 3, Legnano
Sala delle vetrate