Il ragazzino mi fissa da lontano, con quello sguardo di sfida già adulto che hanno i bambini da queste parti. Stringe con la mano destra il suo pugnale, segno distintivo della raggiunta maturità, per il Popolo Afar. Penso ai suoi coetanei europei di sette anni che corron dietro a giochi elettronici, cartoni animati, gelati e bibite colorate.

Lui no. Lui ha un compito ben preciso, un ruolo fondamentale: sorvegliare l’ingresso del villaggio.La mansione consiste nel fermare i pochi bianchi che arrivano proprio a quel cumulo di capanne disperso nel Deserto della Dancalia, nel nord dell’Etiopia e condurli dal capo, che è poi suo zio. Ci fa capire che sono quasi 2 anni che ha ottenuto l’incarico: mi pare un buon curriculum, per iniziare. Col tempo, per assolvere al meglio la sua mansione, ha persino imparato alcune frasi in un inglese monosillabico ma universale. “your boss… speak…my boss…” Sentenzia imperante.

Vuole che parliamo con il suo capo. Non tutti. Soltanto un nostro rappresentante. One-to-one, come nelle occasioni più solenni. Ci pieghiamo inesorabilmente alla sua volontà. Dopo una decina abbondante di minuti, il nostro coordinatore resuscita finalmente dalla capanna.

Apprendiamo che il loro capo ha voluto, oltre al pagamento del pedaggio in dollari, una penna e due bottiglie d’acqua. In più dobbiamo dare un passaggio a Said, un suo amico, fino all’abitato di Ahmed Ela, forse a più di 50 Km di pista battuta da qui. Abbiamo cercato di fargli capire che Said è di corporatura piuttosto abbondante e non ci sarebbe stato insieme a noi quattro nella Jeep. Ma lui non ha voluto sentir ragioni. Quindi, nostro malgrado, abbiamo dovuto accettare. Il capo del villaggio ha comunque

precisato che siamo tenuti a fare quello che dice perché i terreni che attraverseremo sono suoi. Tutto qui è suo. Anche il Vulcano.

Noi ci guardiamo sorridendo al pensiero che egli si vanta di possedere svariati chilometri quadrati di nulla. Solo una distesa infinita di sassi: non c’è un goccio d’acqua, perciò non cresce nemmeno un pianta. E va pure orgoglioso dei suoi possedimenti.

Sarà… ma il capo è lui: qui non si discute. E ora siamo liberi di passare: si entra in Dancalia.

Ivo Stelluti